Le brentane della storia e quelle della cronaca
Lo scrittore e consigliere comunale veneziano: «Il fiume, un fattore fra i principali della storia naturale e della vicenda umana delle contrade»

Un segno profondo di come il Brenta abbia modellato il territorio tra Padova e Venezia è il Canal Grande. Che non è altro che un ramo del corso antico del fiume, un lacerto di quando, scendendo da nordovest, sfociava a Malamocco, incontrandosi con il Piave che vi arrivava da nordest.
Oggi nessuno dei due fiumi sfocia più in laguna (se non il Naviglio, un “rametto” del Brenta), deviato ognuno da cause naturali e da interventi artificiali, scelte di dogi, di “savi” e d’ingegneri. Che il Canal Grande, arteria e cuore della Serenissima, sia un’eredità della Brenta antica ci dice quanto il fiume, sia stato (e sia) un fattore fra i principali della storia naturale e della vicenda umana delle contrade oggi valorosamente narrate dalla fresca quarantenne Nuova di Venezia e Mestre e dal poco più stagionato Mattino di Padova, gagliardo quarantaseienne.
Sono soprattutto i corsi d’acqua, le loro piene, i loro cambi di percorso, le loro confluenze, a costituire la struttura basica dell’area. Ma è tutto il territorio a esserne segnato, con la rete idrica che lo percorre, il Brenta al centro, il Bacchiglione a destra e il Muson a sinistra, e i navigli e i canali a connetterli, avendo alle spalle sorgenti generose e tutto intorno risorgive che sono forse la più necessaria e inestimabile ricchezza della nostra terra (come racconta in “Mar De Molada”, lo spettacolo che va presentando lungo il Piave in queste settimane, Marco Paolini, cittadino d’adozione della Riviera del Brenta).
A volte è così esuberante, il fiume, da stravolgere tutto, con le sue “brentane”, le piene d’acqua così forti da far derivare il nome di un pericolo e di un fenomeno dal nome del fiume (o viceversa, non è del tutto chiaro).
Uno scrittore solido e colto, interprete profondo del territorio, Fernando Marchiori, ha pubblicato anni fa una raccolta di racconti, bellissimi, intitolata proprio Brentane, le “brentane” dell’anima che a volte ci cambiano, ci mettono alla prova, come quelle del fiume a volte cambiano la geografia e la storia (il libro, del 1993, è oggi reperibile più facilmente in ebook, per Collirio, collana di Terra Ferma Edizioni diretta da Roberto Ferrucci).
Tornando al Brenta, per secoli è stato anche l’infrastruttura, il collegamento più veloce tra la capitale lagunare e la principale altra città veneta.
Il via vai di Galileo lo esemplifica bene. In una città, insegnamento e studi; nell’altra, vita mondana, relazioni pesanti, osservazioni di meccanica nel grande arzanà e dimostrazioni spettacolari di cosa sia un telescopio dal campanile di San Marco.
E sulla via d’acqua, geniali errori sull’origine delle maree (attribuite alla rotazione terreste, invece che, correttamente secondo Keplero, all’attrazione esercitata dalla luna sulle acque dei mari, ragione per cui, a Venezia, la luna fa sempre notizia e la Nuova ce l’ha sempre in pagina).
Re, imperatori, conquistatori barbari e no, papi e commercianti, viandanti, pellegrini e migranti, viaggiatori del grand tour e avventurieri, tutti ci sono passati, o ci hanno provato.
Uno lo potremmo anche ricordare, perché il presidente Zaia lo cita spesso – che parli di autonomia differenziata, di Covid o della sagra di Sambughè, apprezzabilissima peraltro – e lo ha reso un poco popolare anche qui, Jean Jacques Rousseau, quello del Contratto sociale, il filosofo svizzero, che fu arrestato per contrabbando alle chiuse dei Moranzani, tra Fusina e Malcontenta (il cui nome deriva dall’acqua “mal contenuta” del Brenta, sempre in agguato).
Un territorio che intanto si popolava di piccoli borghi, di contadini e pescatori, ma anche di ville sontuose del patriziato veneziano e poi della borghesia forte, come Villa Foscari a Malcontenta, o Villa Pisani a Stra, quella del labirinto. Saranno 114, infine, le ville, più o meno ancora tutte là, qualcuna scossa dal tornado del 2015, una delle schegge violente che il climate change scaraventa anche qui.
Erano residenze spesso di villeggiatura, ma anche elementi di organizzazione del territorio, della produzione agricola e del paesaggio che ne veniva plasmato.
Saranno, questi, a fine ’800, anche i luoghi di una grande crisi agraria, che provocherà miseria, spopolamento ed emigrazione ma anche, poi, una rivoluzione produttiva.
Prima artigiana e quindi industriale, inventa il settore calzaturiero moderno, in una sorta di proto-distretto, con quasi un secolo di anticipo su quello che poi sarà un modello di successo, potente e ricco, nel Nordest e in altre parti d’Italia. Vi trova origine anche l’idea di unire i paesi dell’area, integrandoli nei servizi e nelle funzioni economiche divenute via via più complesse – industriali, agricole, turistiche: attività di cui le attente pagine economiche dei quotidiani oggi Nem da tempo danno conto.
È l’esperienza del nucleo amministrativo e politico della “Città del Brenta”, che non tutta l’area comprende ancora ma che indica una via, un potenziale contesto comune di riferimento.
Naturalmente, sarebbe troppo facile ricordare anche la Mala del Brenta e, in fondo, non sarebbe neanche fuori posto, come uno sparo a una festa, perché anche la banda di Felice Maniero, a suo modo, è stata un esempio di quelle “brentane” che hanno plasmato il territorio. Certo, qui, sulla scia di un’arcaica tradizione brigantesca, modernizzando in chiave criminale la smania di far schei.
Nel modo più infame: con lo spaccio su scala industriale di eroina e altri stupefacenti, costato migliaia di vite e l’intossicazione di un’intera società, oltre a drenare denaro sporco da immettere nell’economia, inquinandola. Anche in questo, patologicamente, con i suoi farabutti sparsi tra due o tre province e in relazione con le principali mafie del mondo, facendosi mafia essi stessi, la Riviera ha fatto il suo.
Ma lo ha fatto anche chi, infine, la Mala l’ha messa a posto: basta andare a Dolo, al Centro di documentazione e inchiesta sulla criminalità organizzata, intitolato al suo più fiero avversario, il magistrato Francesco Saverio Pavone. Una “brentana” di legalità e di giustizia.
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