Donna uccisa a San Bonifacio, caso riaperto dopo 17 anni
Maria Armando Montanaro, infermiera di 42 anni, fu uccisa a coltellate la sera del 23 febbraio 1994 nella sua abitazione. L'attenzione ora è puntata sulle due figlie della donna, che all'epoca dei fatti avevano 19 e 21 anni, e su tre loro amici, tra i quali due ragazze. Il 19 aprile il Tribunale del riesame chiamato a esprimersi sull'uso di una intercettazione ambientale

La scena del delitto
VERONA. Un brutale omicidio per 17 anni senza colpevoli, accaduto a Praisola di San Bonifacio, che torna alla luce nelle carte depositate al Tribunale del riesame: atti firmati da un pubblico ministero veronese che accusano Katia e Cristina, le due figlie della vittima, Maria Armando Montanaro, di 42 anni, e tre loro amici.
L'ipotesi è agghiacciante: omicidio volontario premeditato. Forse a muovere la mano assassina una questione di soldi. Tre anni prima, a una decina di chilometri di distanza, Pietro Maso con tre amici aveva massacrato i genitori per l'eredità.
Il 19 aprile prossimo, i giudici saranno chiamati a pronunciarsi sul ricorso presentato dalla Procura scaligera contro la decisione del giudice per le indagini preliminari che non ha accolto la richiesta di misure cautelari per i cinque avanzata dal Pm Giulia Labia, che nell'autunno scorso ha riaperto il caso. Un no pare maturato per problemi procedurali - come spiega il procuratore scaligero Mario Giulio Schinaia - ma che l'accusa ritiene superabili sulla base della convinzione di avere ''elementi probatori'' tali da supportare l'accusa a carico del gruppetto, all'epoca poco più che ragazzi.
Il Gip avrebbe anche ritenuto inutilizzabile una intercettazione telefonica con una presunta ammissione di responsabilità da parte di una delle amiche.
Gli investigatori sarebbero tornati a incrociare quasi per caso la tragedia del 23 febbraio 1994 accaduta nell'appartamento di Maria Armando Montanaro, vedova con due figlie, all'epoca di 19 e 21 anni. A dare l'allarme era stata Katia, la più piccola. Un fermato per altre vicende pare abbia detto che la fidanzata gli aveva detto di aver avuto un ruolo in un omicidio. La donna all'epoca era amica delle figlie della Montanaro.
Nel corso di una successiva intercettazione ambientale, la "confessione" sarebbe riemersa. Poi un attento lavoro di scavo, di ricerca di riscontri, di elementi indiziari e alla fine l'iscrizione delle due e dei tre amici - due donne e un uomo di origini argentine - nel registro degli indagati e la richiesta di misure restrittive nei loro confronti. ''Il concorso nell'omicidio - dice Schinaia, sottolineando che questa è solo una fase della vicenda giudiziaria - è una ipotesi abbastanza concreta e attendibile''. Una ipotesi mossa dall'accusa che dovrà trovare riscontro nelle prossime fasi giudiziarie.
Di certo al momento, invece, c'è che sono tornati alla ribalta i particolari di un omicidio compiuto con una ventina di coltellate; la scena di un corpo di una donna trovato disteso a letto dopo essere stato trascinato per il corridoio di casa. L'omicida aveva anche brutalmente infierito con un manico di scopa.
Il 9 marzo del 1994, i carabinieri avevano fermato Alessio Biasin, 58 anni, preside di una scuola a Monteforte Talpone (Verona), che da tempo aveva una relazione con la vittima. A portarlo in carcere quelli che gli investigatori avevano definito ''contraddizioni'' nell'alibi che aveva fornito. Aveva detto di essersi recato nella casa della donna e che, non trovandola, se ne sarebbe andato. Il Tribunale della libertà, dopo una serie di esami su un capello trovato vicino alla donna e su alcune impronte, risultate più probabili di donna che non di uomo, lo aveva rimesso in libertà dopo alcuni mesi.
Dalla vicenda giudiziaria era poi uscito totalmente scagionato e con un risarcimento di 40 milioni di lire per l'ingiusta detenzione. Nel 2001, però, Biasin è morto in un incidente stradale, in fondo a una scarpata con l'auto sui monti della Lessinia, assieme alla moglie e alla figlia. Fin dal primo momento aveva gridato la sua innocenza.
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