Da Gaza a Padova per salvare Abdullah: una missione di speranza lunga 24 ore
Il bambino palestinese malato di leucemia è arrivato in Italia grazie a una complessa operazione umanitaria. Con lui la mamma e la sorellina di sei mesi. «Ora può essere curato»

Dopo novanta giorni esatti, accade di nuovo qualcosa di speciale. Un evento che riempie il cuore, che porta luce nel buio di una guerra lontana ma vicinissima per chi sceglie di non voltarsi dall’altra parte. Un altro bambino palestinese, ferito non da una scheggia ma da una malattia resa letale dall’assenza di cure, arriva a Padova per essere salvato.

È Abdullah, ha 10 anni, è malato di leucemia e fino a ieri era a Gaza, senza possibilità di ricevere le terapie di cui ha disperatamente bisogno. Con lui, la mamma Iman e la sorellina Qamar, sei mesi appena e un sorriso che ha illuminato la notte del loro arrivo come un piccolo miracolo.
Il loro sguardo ha attraversato la guerra, la paura e il dolore. Hanno lasciato la loro città, Deir al Balah, al centro della Striscia di Gaza, più di 24 ore prima di toccare terra in Italia. Hanno dovuto lasciare anche il papà e altri due bamini di 8 e 11 anni.
Un viaggio lunghissimo, tra attese, checkpoint, silenzi e pianti. Abdullah è apparso visibilmente provato: fisicamente debole, il volto scavato, gli occhi grandi e impauriti dalla nuova realtà. Ma non solo.
Spaventato anche da quel che non conosce ancora: una lingua diversa, una città nuova, un letto d’ospedale, medici in camice bianco. Ad accoglierlo a Padova però ci sono volti amici, sorrisi caldi e braccia pronte ad aiutarlo. La mamma Iman non lo ha lasciato un attimo, cercando in ogni gesto di rassicurarlo, mentre stringeva a sé la piccola Qamar, che, ignara del dramma, dispensava sorrisi a medici, infermieri e volontari.

L’arrivo di Abdullah è parte di una missione umanitaria di grande valore, promossa e coordinata dalla Protezione civile, in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Unità di crisi del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Consolato generale d’Italia a Gerusalemme, l’Ambasciata italiana a Tel Aviv e il Comando operativo di vertice interforze (COVI). Due velivoli C-130J dell’Aeronautica Militare italiana martedì scorso sono atterrati all’aeroporto israeliano di Eilat Ramon, caricando a bordo quattordici bambini palestinesi gravemente malati o feriti, ciascuno accompagnato da un familiare. Ognuno di loro è stato poi destinato a un diverso ospedale italiano: Abdullah ha avuto come meta Padova.
La famiglia è atterrata nella notte all’aeroporto di Milano Linate, da dove è stata immediatamente trasferita a bordo di un’ambulanza del Suem 118, coordinata dal dottor Andrea Paoli, fino all’Azienda Ospedale-Università di Padova. Abdullah è stato ricoverato nel reparto di Oncoematologia Pediatrica, diretto dalla professoressa Alessandra Biffi, punto di riferimento nazionale per la cura di malattie oncologiche complesse nei bambini. Le sue condizioni sono delicate: a causa del conflitto e dell’impossibilità di accesso alle terapie, la sua leucemia è progredita. Ma qui, finalmente, potrà ricevere le cure salvavita di cui ha bisogno.
Fondamentale per rendere possibile questo salvataggio è stato il lavoro di una rete solidale che parte da Padova e arriva fino a Gaza. Un ruolo decisivo lo hanno avuto Alice Ferretti, giornalista del nostro giornale, e Rebecca Fedetto, avvocata padovana, che insieme all’associazione di volontariato “Padova abbraccia i bambini” hanno seguito il caso, mantenendo contatti quotidiani con le istituzioni e l’associazione di volontariato Gaza Kinder Relief, nella persona di Alisa Kireeva, accompagnando la famiglia in ogni fase del trasferimento. E ad accoglierli all’arrivo c’erano proprio loro, con qualche regalino per Abdullah e la piccola Qamar.

Il progetto, reso possibile grazie alla sinergia tra diplomazia e Protezione Civile, ha visto un ruolo centrale svolto dall’Unità Emergenze, guidata dal dottor Luigi D’Angelo, figura chiave capace di coniugare altissima professionalità con una profonda umanità. Insieme a lui ha lavorato l’Unità di crisi della Farnesina, diretta dal dottor Nicola Minasi, contribuendo in modo decisivo alla riuscita di una missione complessa ma carica di speranza.
L’ultima volta che Padova aveva aperto le sue porte a una famiglia da Gaza era il 14 febbraio, con l’arrivo del piccolo Ahmed, ustionato per il 40% del corpo, insieme alla madre e ai due fratellini. Oggi, novanta giorni dopo, la città torna a essere un rifugio di cura e umanità. Per Abdullah, la strada sarà lunga e non priva di ostacoli, ma non sarà solo. Accanto a lui ci saranno medici, volontari, persone che non si sono arrese all’indifferenza. Ma soprattutto la sua mamma Iman e la piccola Qamar, il cui sorriso — anche solo per un attimo — ha ricordato a tutti che, a volte, anche nel cuore di una tragedia, la vita trova ancora il modo di farsi largo.
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