“Baciate” in Veneto Banca «I dipendenti sapevano»
Nel decreto di sequestro milionario il giudice chiama in causa manager e quadri E contro i cinque indagati agende manoscritte, mail e una cena a Ponzano

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TREVISO. Le baciate non sono operazioni estemporanee in Veneto Banca, ma rientrano in un precisa «politica aziendale promossa e sostenuta dall’ad Consoli e attuata dai dirigenti sul territorio in esecuzione di specifiche direttive impartite nel corso di apposite riunioni operative». Lo sostiene il giudice Vilma Passamonti in un passaggio del decreto di sequestro da 59 milioni di euro nei confronti di cinque tra imprenditori, banchieri ed ex dirigenti dell’istituto di credito trevigiano. In sostanza: quella del capitale finanziato era prassi e le responsabilità sono diffuse, anche tra i quadri e i funzionari della banca. Su questa conclusione – che in futuro potrebbe aprire le porte a nuovi profili di responsabilità – si basa il provvedimento attuato martedì dalla Guardia di Finanza nei confronti di Flavio Marcolin ex responsabile Affari societari e legali della Banca, Stefano Bertolo ex responsabile della Direzione centrale amministrativa, del responsabile commerciale dell’istituto Mosè Fagiani, del banchiere torinese Pietro D’Aguì ex ad Bim, dell’imprenditore torinese Gianclaudio Giovannone. I sigilli sono scattati con riferimento a due operazioni: il portage da 15 milioni con l’acquisto di pacchetti obbligazionari da parte di D’Aguì e Giovannone e l’impegno di Veneto Banca a riacquistarli (operazione nota come “il piacerino”), e la baciata da 14 milioni con l’impegno di tre imprenditori ad acquisire pacchetti di azioni ricevendo quale contropartita un tasso di interesse del 3%.
Le direttive del “buon Consoli”.
La magistratura ritiene dunque che «la funzionalità delle operazioni alla mendace rappresentazione agli organi di Vigilanza è risultata certamente nota oltre che ai componenti degli organi della banca, ai funzionari anche diffusi sul territorio, fino ai dipendenti». Secondo tale ricostruzione l’ex ad ed ex dg Vincenzo Consoli aveva impartito direttive stringenti sul collocamento delle azioni. Una filosofia così “riassunta” in una telefonata tra due dipendenti e intercettata dai finanzieri: «Fare rinnovi ai clienti solamente se soci, allargare la base soci come diceva il buon Consoli, sulle aziende clienti; l’azienda nostra cliente deve essere affidata, deve essere assolutamente nostro socio, utilizzare gli impieghi utilizzando anche gli affidamenti già in essere non utilizzati, ridurre il tasso di raccolta». Ma quali sono gli elementi che, secondo gli inquirenti, dimostrano il coinvolgimento dei quadri della Popolare?
Le agende di Marcolin.
La Finanza le ha sequestrate nel suo ufficio, nel corso della perquisizione del febbraio 2015. L’ex responsabile degli Affari Societari e Legali annota a penna le discussioni nei Cda e anche dei numeri. Uno è il 2538. Si tratta di un articolo del Codice Civile, quello che vieta le baciate. Per gli inquirenti dimostra «il coinvolgimento diretto di Marcolin nelle operazioni in esame e la correlazione tra il ricorso ad operazioni di finanziamento e il previsto aumento di capitale». Poi ci sono le mail legate al “piacerino”. Giovannone ne invia una a Marcolin il 23 luglio 2012: «Ho parlato prima con Vincenzo e poi con Pietro in merito alla chiusura del famoso piacerino...». E un anno dopo, il 13 febbraio, Giovannone scrive a Marcolin: «Ne parliamo a marzo e contestualmente chiuderemo anche il piacerino...». Ma il legale di Marcolin, l’avvocato Alberto Mascotto, sottolinea come il manager sia intervenuto per la chiusura dell’operazione, peraltro autorizzata da Banca d’Italia, mentre non lavorava neppure in banca quando essa fu ideata.
Le lettere di impegno e la cena di Ponzano.
Per i magistrati c’è il «sicuro coinvolgimento» di Fagiani «nelle operazioni di finanziamento correlate all’investimento azionario e la sua consapevolezza della finalizzazione di queste operazioni ad ostacolare la Vigilanza». Uno dei referenti territoriali ha spiegato che «il direttore commerciale con cadenza quasi giornaliera chiedeva aggiornamenti sullo stato di avanzamento delle manifestazioni di interesse». La sera del 29 maggio 2014 a Ponzano, in casa di un cliente della banca, c’è una cena a cui partecipano i quadri dell’istituto. Ricorda un direttore della Popolare, Fabio Berini: «Fagiani mi chiese di seguirlo a fumare una sigaretta. Eravamo sul balcone, mi chiese conto dell’attività in corso sul fronte della sottoscrizione di azioni e mi disse: tu sei appena arrivato, devi trovarmi qualche operazione, datti da fare altrimenti la tua carriera di direttore territoriale finisce ancora prima di iniziare». Poi ci sono le lettere di impegno al riacquisto riferite alla presunta baciata da 14 milioni di euro: i due direttori che le hanno sottoscritte sostengono di averlo fatto in quanto rassicurati da Fagiani.
Lo scontro Consoli-Collegio sindacale.
C’è un altro episodio che dimostra, seconda i magistrati, come quello del capitale finanziato fosse pratica nota. Il 26 giugno 2014 Consob scrive una mail raccomandando un monitoraggio sulle modalità di aumento del capitale. Consoli risponde rassicurando su tutta la linea. Il 2 luglio si riunisce il Collegio Sindacale e chiede al Cda di rispettare puntualmente le raccomandazioni dell’Autority e di vietare l’utilizzo di qualsiasi tipologia di finanziamento, anche di quelle già in essere. La cosa non viene presa bene da Consoli, secondo quanto riferito dall’allora presidente del collegio sindacale Condemi: «Fu anche affermato che il Collegio stava ostacolando la banca, compromettendo il buon esito dell’aumento di capitale».
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