Brugnaro indagato per corruzione si difende in Consiglio: «Sono innocente, non mi dimetto». Fuori la protesta dei cittadini
La seduta in municipio a Mestre venerdì 2 agosto. Il sindaco parla per 50 minuti, si commuove e viene contestato: «Non ho nulla di cui vergognarmi». Su Boraso: «Se avessi saputo qualcosa, lo avrei rimosso dalle deleghe e denunciato». Fuori da via Palazzo cori e striscioni contro la giunta

«Sono innocente, non ho nulla di cui vergognarmi». Sono le 10.23 quando il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro inizia il suo discorso davanti al consiglio comunale convocato a Mestre alle 10 di venerdì 2 agosto.
E’ la prima volta che il sindaco parla dopo che è stato indagato per concorso in corruzione nell’inchiesta che ha travolto anche l’ex assessore Boraso (in carcere), funzionari e imprenditori. Il suo discorso durerà oltre 50 minuti e si concluderà con un perentorio «Non mi dimetto».

Lungo via Palazzo e nell’atrio del municipio, la protesta di cittadini e associazioni contro la giunta. Almeno 500 le persone presenti. Una richiesta unica e chiara: «Dimissioni». Sulla stessa linea gli interventi delle opposizioni in un Consiglio-fiume durato quasi quattro ore.
Prima dell’avvio del consiglio, Brugnaro e la giunta – tutti arrivati di prima mattina – si sono ritirati in conclave per un incontro.
La difesa di Brugnaro
Il via alla seduta alle 10.13. Il sindaco ha preso la parola leggendo un discorso: «Mi ritengo totalmente innocente e lo proverò in tutte le sedi opportune».
«Nove anni di lavoro, più di 12 ore al giorno, oggi come premio sono qui a dover dimostrare la totale onestà del mio operato».
«Sono qui con il massimo rispetto, sono un uomo con incarico pubblico. Mi ritengo totalmente innocente e lo proverò in tutte le sedi opportune».
«C’è il diritto e il dovere di rimanere in carica per non tradire il mandato dei cittadini e le loro legittime aspettative di vedere le opere finite».
Sono alcuni dei passaggi chiave della prima parte del discorso di Brugnaro per chiarire la sua posizione, sul piano amministrativo e politico, rispetto all’inchiesta della procura di Venezia.
La questione Pili
«Ci sono due grandi questioni ben distinte. I Pili e la Reyer da una parte, e le vicende di Boraso dall’altro. Partiamo dalla prima: non ho nulla di cui dovermi vergognare, posso guardare in faccia chiunque e sono a disposizione della magistratura».
Brugnaro ha poi ricostruito la storia del terreno dei Pili, 41 ettari comprati da Brugnaro quando era ancora imprenditore, prima di diventare sindaco.
In merito al rapporto con il magnate di Singapore Chiat Kwong Ching e Luis Lotti, il sindaco ha spiegato che «Mi pare che tutta questa vicenda sia basata sulle carte di Vanin. Ora dico la mia. A giugno 2015 il Comune era in pre dissesto ed è da quando che mi sono insediato che mi sono impegnato con rapporti personali con gli imprenditori per lo sviluppo della città».

«Ad aprile 2016 ho incontrato mr. Ching, rappresentate di un gruppo quotato a Singapore, che era interessato ad acquistare degli edifici a Venezia, alla presenza di altre persone e assessori. Lo rivendico come prova a mio favore. Si è parlato di ex ospedale al Mare, ex Umberto I e vedendo la mappa della città è stato lo stesso Ching a chiedermi informazioni sull’area dei Pili.
Dopo quell’appuntamento si sono concretizzate due alienazioni, Palazzo Donà e Palazzo Papadopoli, un risultato molto positivo per il Comune, dopo anni di aste andate a vuoto. Io personalmente ho solo dato mandato agli uffici pubblici di fare le gare pubbliche. Si è ottenuto un risultato molto importante per le finanze della città».
Brugnaro ha poi spiegato che «Dopo aprile mi risulta che ci siano state interlocuzioni tra Porta di Venezia, proprietaria dei Pili, e l’imprenditore, anche per la realizzazione di un palazzetto. Solo a dicembre 2017 ho rivisto per la seconda e ultima volta Kwong a casa mia per omaggiare un grande imprenditore. Riunione durata meno di un’ora. Ma purtroppo il progetto era molto impattante e non mi è piaciuto per niente. Credo che in quell’occasione mr Ching e Lotti abbiano capito. Ci siamo salutati in modo cordiale. Per me restano persone rispettabili».
La difesa di Ceron e Donadini
«Morris Ceron è una grande e brava persona. Onesta, totalmente votata a risolvere problemi di ogni genere, come sanno tutti quelli che lo conoscono».

Donadini lo stesso e ha affrontato in nove anni centinaia di questioni tecniche politiche»: così Brugnaro è intervenuto sui suoi due principali collaboratori: Ceron (capo di gabinetto e direttore generale) e Donadini (vice capo di gabinetto), anche loro indagati.
Il caso Boraso
In merito alle intercettazioni in cui si sente il sindaco Brugnaro richiamare Boraso perché chiede soldi, il sindaco ha spiegato che «Ero molto arrabbiato e volevo capire se c’era qualcosa di più. Ma mai avrei potuto solo pensare quello che è emerso dalle indagini».
«Se avessi avuto una minima informazione circostanziata, lo avrei rimosso dalle deleghe e denunciato alle autorità competenti. Se le accuse saranno confermate, la posizione dell’amministrazione sarà costituirsi parte civile. Io sono sempre stato dalla parte della legalità», ha aggiunto Brugnaro, commuovendosi in questo passaggio, «Sono e sarò sempre un garantista, sono sicuro che la magistratura farà chiarezza».
«La libertà delle imprese va protetta»
«Sono qui per tranquillizzare le migliaia di persone che mi hanno votato e quelli che non mi hanno votato ma sanno che sono una persona onesta», ha aggiunto Brugnaro rivolgendosi ai consiglieri e ricordando che «la libertà delle imprese va protetta, gli investimenti delle imprese sono il vero driver dello sviluppo economico. Ho letto striscioni “riprendiamoci la città”, ma la città resta di tutti».
«Non mi dimetto»
«Non mi dimetto, credo fortemente nella giustizia. Lotterò per dimostrare la mia onestà e la mia integrità».
Così, dopo cinquanta minuti, il sindaco Brugnaro ha concluso il suo discorso, applaudito dai consiglieri di maggioranza che si sono alzati in piedi e contestato dal pubblico che invece ne ha invocato le dimissioni.
La protesta dei cittadini
“Buffone” “Pagliaccio” “Brugnaro basta parlare”. Mentre il sindaco ha proseguito a spada tratta la difesa del suo operato e della sua squadra, fuori i 500 cittadini continuano a chiedere urlando la richiesta di dimissioni.
Quando il sindaco ha pronunciato parole come trust o rivendicato il fatto che un imprenditore si possa occupare di politica, i manifestanti hanno risposto con fischi assordanti sperando che le loro voci attraversassero i vetri e le finestre chiuse del municipio.
Già dalle 9 i cittadini si erano messi in coda per entrare in municipio, sorvegliati da un cordone di polizia in tenuta antisommossa schierato sotto i portici.
Fuori i centri sociali sventolavano cartelloni (“Brugnaro la campagna non ti vuole” “il prezzo della vostra omertà lo paghiamo noi” e altri) e bandiere.
Tra tutte, spiccano le tre scimmiette (non vedo, non sento, non parlo) che indicano Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia.

I centri sociali hanno installato delle casse davanti all’ingresso per sentire la seduta in diretta.
La voce dei manifestanti
I cittadini e le associazioni si sono organizzati con cartelloni che chiedono le dimissioni del sindaco, incluso uno striscione gigante appeso nell’edificio di fronte al Comune.
«Ci vuole qualcuno che abbia a cuore la città perché questa giunta ha fatto solo gli interessi privati a Venezia e a Mestre», dicono le veneziane Chiara Bosto e Marina Piovesan.
Le differenze tra le due anime de Comune oggi non si sentono: «Quanto successo ha rovinato l’immagine di tutto il territorio», commenta Roberto Sambo del comitato Viale San Marco, «Il sindaco deve dimettersi. Oggi ci sono tanti giovani che mi danno un filo di speranza che ci può ancora essere un futuro per la città».
Michele Boato ha annunciato un percorso di contestazione che partirà anche a Mestre ogni sabato, con inizio il 2 agosto dalle 11 alle 12 davanti al municipio.

«Era tutto previsto, si è fatto scrivere il discorso dagli avvocati. Gli interventi dell’opposizione precisi e il nulla della maggioranza. Non hanno risposto alla domanda su quali sono gli interessi privati del sindaco».
Gli interventi dei consiglieri
«Luigi Brugnaro ha letto un testo, chi ha scritto il discorso si è dimenticato la parole "scuse alla città”». Una pausa, gli applausi che valicano le finestre. Il primo a prendere la parola è il consigliere Marco Gasparinetti, Terra & Acqua.
«Abbiamo una città allo sbando nei trasporti: allora chiederemo, a lei che ha preso le deleghe, di rendere conto di tutti i disagi drammatici del trasporto pubblico locale. Era un orgoglio poter dire ai genitori ‘Mamma lavoro in Actv’, c’era la fila per entrare. Non è più così».
Il consigliere torna sulle mancate scuse: «Mi aspettavo di sentire le scuse. Io ho ricevuto una causa e con quella speravano che stessi zitto. Non sono in vendita, non sono in affitto, non ho paura. Le dimissioni del sindaco erano doverose».
Gasparinetti puntualizza su palazzo Papadopoli. «Un unico rimpianto da parte mia: nel 2017 c’è stata una diffida contro la vendita di palazzo Papadopoli. La polizia locale è stata costretta a traslocare al Tronchetto. Se aveste ascoltato quella diffida, il povero assessore non sarebbe in carcere e noi non saremmo qui.
Avete deciso di non dimettervi: passeremo a setaccio ogni singolo atto, ogni singola delibera!», conclude.
«La maggioranza dei cittadini l’ha voluta qui, si chiama democrazia. Lei è lì e deve restare lì perché la maggioranza della città di Venezia l’ha voluta lì. Si chiama democrazia». Il primo consigliere a prendere le difese del primo cittadino è Stefano Zecchi, con delega alla cultura.
Nel farlo, si rifà al volume “Il grande inquisitore” da “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij, in cui Ivan narra al fratello Aleksej un racconto allegorico ambientato in Spagna durante l’inquisizione, protagonista Gesù.
«Gesù lancia una sfida a tutti noi, ieri come oggi. Libertà e libero arbitrio sono responsabilità che tutti si devono prendere. La vera infedeltà è non avere il coraggio di ricordare. La libertà è la nostra democrazia. E la democrazia è avere il voto per essere qui», conclude Zecchi.
«La sua gestione padronale è piena di buchi, un totale fallimento. Lei non sapeva nulla di come veniva gestita la cosa pubblica da uno dei suoi assessori? Si faccia una domanda e si dia una risposta, se ne scusi», l’intervento della consigliera d’opposizione Sara Visman, Movimento Cinque stelle.
«“Non voglio ridurre il Consiglio a campo di battaglia” sono parole sue, sindaco», incalza il consigliere d’opposizione Giovanni Andrea Martini, Tutta la città insieme. «Le persone oggi qui sono semplici cittadini, che lei ha ingannato e deluso. Sono persone arrabbiate. Deve prendere coscienza di quello che ha fatto. Oggi ha l’occasione per dimostrare che ci tiene alla città. Le dimissioni potrebbero restituirle la credibilità che ha perso agli occhi dei cittadini».
Nella prosecuzione del dibattito, il faccia a faccia tra il sindaco e Martini sulla proposta provocatoria del consigliere di opposizione, avanzata qualche settimana fa, di sparare con l’acqua ai turisti come a Barcellona.
L’arringa delle opposizioni non si ferma: prende la parola Monica Sambo, Partito Democratico: «Lei signor sindaco si deve dimettere».
Si susseguono gli interventi dei consiglieri: la maggioranza si è affidata alle parole di Emmanuele Muresu (Luigi Brugnaro sindaco), che ha ricordato quanti progetti ha portato e sta portando avanti l’amministrazione, citando i medesimi ricordati dal sindaco.
Ma l’opposizione non ci sta: dopo Emanuele Rosteghin (Pd) e Cecilia Tonon (Venezia è tua), arriva l’intervento di Gianfranco Bettin (Verde Progressista): «Qualcuno ha tentato di mettere il leone, Venezia, al servizio del potere politico. Ma Venezia non ce lo permetterà», tuona Bettin, «Non siamo qui a fare processi da inquisitori. Il processo, semmai, è già stato fatto a Boraso, il cattivo: ma ha fatto la cosa giusta, ha dato le dimissioni».
Bettin riporta la discussione su quello che, a suo parere, è il nodo cruciale da affrontare. «Non è il punto di oggi quello di parlare dei progetti. La magistratura ha detto delle cose precise: parlo del meccanismo, e ve lo ha detto con gentilezza. Persistere senza cambiare niente nel modo nel gestire la cosa pubblica è un gravissimo errore sotto ogni punto di vista: è un errore politico grave. È questo l’oggetto della seduta politica odierna».
Conclude Bettin: «La domanda è: “Mentre amministro la cosa pubblica, posso pensare agli affari miei?”».
Dagli scranni opposti alza la voce Stefano Zecchi rivolto a Bettin: «Stai facendo un processo politico, pur sostenendo il contrario».
«C’è la presunzione di innocenza, si cavalca un avviso di garanzia. Non è una condanna», afferma il consigliere Paolo Romor (Luigi Brugnaro sindaco), «Ma l’opposizione vorrebbe applicarla subito, la trova un’occasione ghiottissima per un sindaco che vi ha battuto alle urne».
Si aggiunge la consigliera Chiara Visentin (Luigi Brugnaro sindaco): «La linea è sempre stata chiara, anche durante il Consiglio del 2020 quando si è parlato di Pili».
Poi la parola a Maika Canton, Fratelli d’Italia. «Chiediamo all’amministrazione di proseguire, a pieno titolo, e che il sindaco possa intervenire sul ricollocamento delle persone, tra i tecnici, sottoposte a accertamenti giudiziari. Nell’attesa che l’indagine arrivi a conclusione, abbiamo la convinzione che la macchina amministrativa non si fermi».
E ancora Gianluca Trabucco (Verde Progressista): «Tante cose dette, non è in discussione il ruolo dell’imprenditore in politica. Sono gli inquirenti che parlano di un sistema Brugnaro».
Il consigliere Alex Bazzaro (Lega) ha proposto di consegnare a Brugnaro la tessera del proprio partito.
E ancora Giuseppe Saccá (Pd): «Sindaco Brugnaro, oggi ha detto che ha incontrato un imprenditore privatamente, a casa sua, con il capo di gabinetto, dopo aver promesso ai cittadini che non avrebbe fatto i suoi interessi».
La capogruppo di Fratelli d'Italia Maika Canton ha garantito l'appoggio del suo partito al sindaco, pur chiedendo lo spostamento dei dirigenti delle partecipate che sono indagati per garantire il funzionamento della macchina comunale.
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