I negozianti veneziani: «Borseggiatori sempre più aggressivi, noi abbiamo le mani legate»

Un’esercente: «Sono spaventata, oltre che indignata. E come me anche tutti gli altri, qui in zona»

Giacomo Costa
Due borseggiatrici
Due borseggiatrici

«Una volta erano solo ragazzine minorenni e donne incinte, oggi invece vediamo bande intere di uomini: massicci, minacciosi, fanno paura. E la voglia di mettersi in mezzo è sempre di meno: chi ce lo fa fare? Rischiamo che ci aggrediscano, che ci distruggano il negozio e, adesso, pure che ci denuncino».

Eleonora lo dice, poi ci ripensa; quindi di nuovo tentenna: «Io avviso, avviso sempre: la polizia locale, la questura, i carabinieri, i comitati dei “non distratti”, non passa giorno senza un buon motivo per alzare il telefono. Però sono anche spaventata, oltre che indignata. E come me anche tutti gli altri, qui in zona».

Lei è una degli esercenti dei dintorni del teatro La Fenice, tra il Giglio e calle larga XXII Marzo, una delle zone più battute dai borseggiatori, che lì vanno a caccia delle comitive di turisti sfuggite alla graticola di Vallaresso e al tiro libero dell’Accademia. Il suo nome, in realtà, è un altro: cambiarlo è la condizione per raccontare la situazione.

«È giusto che si sappia cosa succede qui, a che livello siamo arrivati», conferma, «Ma non voglio che domani mi vengano a sfasciare tutto, o mi seguano dopo il lavoro. Perché loro ci conoscono tutti, si segnano i volti e i nomi». Proprio come fanno gli attivisti anti-pickpocket, insomma; ma se i cittadini così vogliono intercettare i delinquenti e, al contempo, bruciare loro la piazza, questi invece si abbandonano a vere intimidazioni.

«Qualche mese fa, davanti all’ennesimo tentativo di furto, eravamo usciti in tanti: la strategia era sempre quella, piazzarsi davanti alla porta, in calle, per far almeno vedere che ci siamo, che li vediamo. Il gruppetto di criminali ha capito la mala parata e si è allontanato; poi però sono tornati indietro, ci hanno fissato negli occhi e ci hanno fatto il gesto di tagliarci la gola».

Il dito indice che scorre sul collo, da un orecchio all’altro, è poco equivocabile. «Da quella volta molti di noi esitano a mettere fuori la testa: quella è brutta gente, ed è sempre più numerosa. Senza contare che molti se li ritrovano poi in vaporetto, in autobus fino a Mestre. Fanno la nostra stessa strada, andata e ritorno, abbiamo paura».

Le ritorsioni, in effetti, non mancano; a fine aprile sono stati i gondolieri ad assorbirne l’urto: una squadra di borseggiatrici, disturbata per tutto il giorno dai “pope”, in serata si è riversata nello stazio, lanciando bottiglie e rovesciando fioriere, in una tempesta di insulti, sputi e spintoni.

Tre settimane fa, a San Maurizio, i negozianti e i ristoratori che hanno difeso una coppia di derubati brandendo mestoli e grucce hanno rimediato spruzzate di spray urticante. A metà giugno la paura e l’insofferenza si sono tradotte in un esposto, consegnato alle autorità: «Lo abbiamo firmato in duecento, dentro abbiamo raccontato tutto quello che vediamo, che subiamo, minacce comprese. E anche le conseguenze negative per la città».

Nel testo si chiedono interventi continui nella zona, più telecamere, ma anche l’apertura di un procedimento d’indagine, per individuare tutte le fattispecie di reato che possono essere contestate ai borsaioli. «Abbiamo i numeri diretti delle forze dell’ordine, ci sono le squadre sempre all’opera. Il problema è che, alla fine, nessuno va mai in prigione, ora con la legge Cartabia è peggio che mai. Ora siamo noi a dover chiamare un avvocato per difenderci, perché veniamo querelati».

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