Uccise la moglie a pietrate condanna confermata

NOALE. La Corte d’assise d’appello di Venezia presieduta dal giudice Daniela Perdibon ha confermato la sentenza di primo grado nei confronti dell’albanese Pashko Gjelaj, che nel processo di primo grado era stato condannato a 14 anni di reclusione per l’omicidio della moglie Hana. I giudici hanno accolto la richiesta del rappresentante della Procura generale, respingendo quella della difesa, rappresentata dall’avvocato Aldo Pardo.
A condannarlo in primo grado era stata la giudice Roberta Marchiori con il rito abbreviato. A chiederne la condanna il pubblico ministero Giovanni Zorzi, che aveva coordinato le indagini dei carabinieri, e che aveva chiesto la pena di quattordici anni sulla base dello sconto di un terzo della pena prevista per chi sceglie il rito abbreviato ed evita di finire davanti alla Corte d'assise. L'albanese, su richiesta del difensore, l'avvocato Aldo Pardo, era stato sottoposto a una perizia psichiatrica al termine della quale era stato giudicato semi infermo di mente. Il suo legale, comunque, si era battuto perché venisse prosciolto e curato in quanto totalmente incapace di intendere e volere. Il magistrato veneziano aveva disposto che, scontata la pena alla quale era stato condannato, scatti la misura di sicurezza perché ritenuto pericoloso socialmente. Lo psichiatra Ivan Galliani, nominato perito dal magistrato, aveva sostenuto che l’imputato aveva una vera e propria ossessione, temeva che la moglie lo tradisse. Stando alla ricostruzione dell'accusa, Gjelaj sospettava che la moglie lo tradisse con altri uomini e soprattutto era preoccupato che il paese mormorasse, che la notizia ormai girasse di bocca in bocca. Aveva parlato per più di un'ora, cercando di giustificarsi durante il primo e unico interrogatorio, immediatamente dopo l'arresto. «Se voi dite che l'ho colpita con una pietra sarà così, ma non mi ricordo», aveva risposto al giudice, che gli chiedeva la dinamica dell'aggressione. Il 54enne doveva rispondere di omicidio volontario aggravato dal fatto di aver ucciso la moglie. Il medico legale veneziano Valentina Meneghini, dopo aver compiuto l'autopsia sul corpo di Hana, aveva stabilito che non era morta a causa del colpo di pietra che pur le aveva fratturato la calotta cranica: la vittima era deceduta per una grave emorragia provocata dai colpi di coltello, cinque, che lui le aveva tirato mentre lei era ancora in bicicletta e prima che cadesse a terra. Nessuna coltellata in sé sarebbe stata mortale perché non aveva centrato organi vitali, ma tutte assieme avevano provocato l'emorragia e fatto morire lentamente la donna di 46 anni sul marciapiede di Moniego.
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