Tragedia di Marcon: lei da tempo costretta a letto, lui le stava vicino e curava la casa

Il ritratto della coppia di anziani, sempre in stretto contatto con i figli e i vicini: «Maria non pensava mai ai suoi guai, ma a quelli degli altri» 

il RICORDO

Erano una coppia amata da tutti, Silvano Conte e Maria Favaretto, tanto che la loro porta di casa era sempre aperta. La chiudevano solo la sera, prima di andare a dormire. Maria ha convissuto con la malattia per più di metà della sua vita, ma non per questo era una persona meno altruista. A sorreggerla la fede, il suo pilastro assieme al marito. Le era stata amputata una gamba e se fino a qualche tempo fa si spostava per la casa, di recente era sempre in camera, sul suo letto medico.

Nonostante le difficoltà fisiche, però, aveva molti legami. Erano tante le persone che andavano a trovarla, per primi i tre figli - Fabrizio, Michele ed Elisabetta - che abitano poco distante e che a turno erano sempre a casa dei genitori.

Maria era una donna molto credente, dalla fede incrollabile. Finché il fisico l’aveva sostenuta si recava in chiesa e in parrocchia. Da quando non riusciva, era il sacerdote che di tanto in tanto andava da lei.

Il marito, idraulico in pensione, faceva tutto quello che poteva in casa. E per rendersene conto basta dare un’occhiata alle piante, ai cespugli profumati, ai fiori, al gelsomino che ricopriva come una coperta la tettoia dov’era parcheggiata anche ieri mattina la vecchia Felicia ben tenuta. Per il bimbo della casa a fianco, era come un nonno.

Al mattino attendeva i piccoli dei vicini per scherzare con loro e fare due parole. Appartenente al corpo dei Bersaglieri, fino a poco tempo addietro non perdeva un solo raduno nel territorio ad ogni festa comandata, in primis a San Donà di Piave. Un marito che per la moglie faceva praticamente tutto. «La nonna» come la chiamavo racconta il figlio Fabrizio «nonostante fosse sfortunata per tutte le vicende legate alla malattia e alla deambulazione, era una persona che dire credente non rende ancora l’idea. Non pensava mai a se stessa e ai suoi problemi, chiedeva sempre come stavamo noi, come stavano i nipoti, le persone che aveva attorno. Gli altri erano il suo primo e solo pensiero e mio papà era la sua fortuna grande, perché la aiutava in tutto. La casa era sempre aperta per chi entrava e usciva».

L’infermiera che la seguiva, il dottore, gli amici, i bimbi dei vicini a cui distribuiva le caramelle. Ieri mattina all’alba i tre figli erano tutti davanti all’abitazione, increduli e disperati e anche loro, adesso, vorrebbero sapere. Un giovane nipote è arrivato a metà mattinata, è sceso dall’auto con le lacrime agli occhi, ha guardato quel che rimane della casa dei nonni, poi è rimontato e ha dato gas. La figlia Elisabetta è stata l’ultima a salutare i genitori sabato sera. E ora – dice – è senza ricordi. Tutto bruciato.

«A casa non c’era nulla di acceso, l’aria condizionata era spenta» prosegue il figlio «di attaccata c’era solo la macchinetta per le zanzare, quella che hanno tutti, null’altro». Il resto è cronaca di una tragedia. «Mio papà aveva visto la partita, forse si era addormentato in poltrona, forse era andato a letto e poi si era alzato e riseduto. Capitava. Ma nessuno sa né in che modo né a che ora sia avvenuto l’incendio». «Erano persone squisite e speciali» racconta una vicina «sia gli anziani che i figli che gli stavano accanto, siamo atterriti e senza parole». —

M.A.

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