Si impicca nel garage di casa artigiano di 46 anni

Paolo Voltan aveva 46 anni. Ex imprenditore poi operaio nel settore della termoidraulica tre anni fa ha dovuto chiudere l’impresa perché non riusciva a riscuotere i crediti

SPINEA. È uscito di casa dopo cena. A detta della moglie appariva strano, abbattuto. Poco dopo, il cognato, non vedendolo rientrare, è andato a cercarlo e lo ha trovato impiccato nel garage della vecchia abitazione di famiglia, lungo la ferrovia. Si è tolto la vita nella casa che gli era appena stata pignorata Paolo Voltan, 46 anni, artigiano in proprio prima, operaio dipendente poi. Non ha lasciato biglietti di addio né mandato alcun messaggio ai famigliari. Solo, con la sua disperazione, ha deciso di farla finita in quel garage che fino a poco tempo prima gli apparteneva. Voltan è una di quelle che da più parti ormai chiamano “vittime dello Stato”. Perché a farlo precipitare nel baratro, pieno di crediti più che di debiti, erano stati i clienti e quel circolo vizioso di pagamenti mai liquidati per lavori fatti. Con grande dedizione e capacità tra l’altro.

Voltan non aveva sbagliato nella vita, il fallimento glielo avevano procurato gli altri. Forse l’unico errore era stato quello di fidarsi troppo. E per troppo tempo. Aveva aperto alcuni anni fa una ditta di termoidraulica, poi però le cose avevano cominciato ad andare male: i clienti non pagavano i lavori fatti, Voltan si era indebitato e in poco tempo i conti avevano cominciato a non quadrare più. Lavorava, anche diverse ore al giorno e i bilanci non segnavano mai le entrare pattuite. Aveva dovuto chiudere così la sua piccola impresa artigianale tre anni fa. Poi gli è stata pignorata perfino la casa, dove aveva vissuto con la moglie e la figlia piccola, in via della Ferrovia. L’abitazione era finita all’asta, avevano perso anche quella, che sembrava l’unica protezione verso l’esterno, verso un mondo ingrato, che non aveva saputo tutelarli. Aveva trovato ospitalità da parenti, in centro a Spinea, dove ormai viveva con tutta la famiglia.

Voltan aveva provato a ripartire, pian piano, con la pazienza e la dedizione di un buon padre di famiglia: lo aveva fatto riprendendo a lavorare come operaio nella ditta del cognato, sempre nel settore della termoidraulica. Era un lavoro che sapeva far bene e che pensava potesse rilanciarlo e permettergli di pagare i debiti. Ma anche quella ditta aveva cominciato a incontrare le difficoltà di una crisi feroce. Frustrato e amareggiato per come si stavano mettendo le cose, abbandonato da tutti, meno che dalla famiglia, mercoledì sera l’uomo è uscito di casa, ha attraversato il centro di Spinea ed è tornato in quella vecchia casa di periferia, lungo la ferrovia, dove tutto era cominciato. E lì ha deciso di farla finita. L’affetto dei cari non gli è bastato per affrontare il periodo buio che gli si prospettava innanzi e colmare il vuoto lasciato da un mondo, quello del lavoro, che doveva consentirgli di vivere degnamente e che invece l’ha portato a togliersi la vita.

È stato lo stesso cognato, uscito perché non lo vedeva più rientrare, a trovarlo intorno alle 22, quando per lui non c’era più niente da fare. Era nel garage della casa che gli avevano tolto, ma che non aveva mai smesso di considerare sua. Ai famigliari non è rimasto che chiedere l’intervento dei sanitari del Suem e dei carabinieri di Spinea. La famiglia si è stretta in un mesto riserbo, chiusa nel dolore e nei mille punti interrogativi lasciati da questa ennesima tragedia della disperazione. In paese, chi conosceva la famiglia Voltan ha saputo solo nel tardo pomeriggio della tragedia, rimettendo assieme tutti i pezzi di un mosaico fatto di delusioni e sventure che pochi avrebbero immaginato di veder sfociare in un dramma simile.

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