«Scusateci, ma siamo disperati»

MUSILE. «Chiediamo scusa per come ci siamo comportati, ma viviamo nella disperazione e non avevamo scelta». Lucia Barretta, la donna di 43 anni, madre di quattro figli, che ha minacciato di darsi fuoco con una tanica di benzina, rinchiusa con due dei suoi ragazzi in sala giunta a Musile, è stata dimessa dall'ospedale di San Donà, dove era rimasta in osservazione per un principio di intossicazione e problemi legati alla sua cardiopatia.
La donna si era già cosparsa di benzina e alcol pronta a bruciarsi se sindaco e Servizi sociali non avessero aiutato subito la sua famiglia e con tanto di garanzie. Era arrivato anche il marito, Raffaele Marra, 41 anni, napoletano di Scampia, per tentare di convincerla assieme ai carabinieri a uscire. Quando la donna è svenuta, i vigili del fuoco hanno sfondato la porta per non rischiare di perderla.
Tutto si è risolto per il meglio e domani il sindaco Gianluca Forcolin riceverà Raffaele e il figlio più grande Luigi per cercare di aiutarli, venire incontro alla famiglia, pagare qualche bolletta e dare loro la possibilità di rimettersi in carreggiata. Ha evidenziato che questo non è il modo di chiedere aiuto, che se tutti facessero così saremmo nel caos e che ci sono famiglie che vivono in silenzio il loro dramma di povertà. Anche l'opinione pubblica non ha giudicato bene questo gesto, seppure frutto della disperazione.
«Noi ringraziamo tutte le forze intervenute», dicono ora Lucia e Raffaele, «in particolare i carabinieri con il luogotenente Vincenzo Cerrato che ci ha parlato a lungo dalla porta e tutti gli altri militari dell'Arma, poi la polizia locale, i vigili del fuoco e il personale del Comune. È stato un momento terribile in cui i nervi sono saltati. E ci scusiamo con la città se abbiamo creato disagi, ma purtroppo la nostra situazione è davvero disperata. Abbiamo chiesto di poter avere una casa, un lavoro, la dignità per una famiglia distrutta».
«Io ho pagato con un anno di carcere colpe che non avevo» dice Raffaele Marra, in carcere per un anno e poi prosciolto per fatti di droga «Lo Stato ha sbagliato, io adesso chiedo solo aiuto. Le case ci sono e noi siamo pronti a lavorare, a fare qualsiasi cosa per cercare di risalire la china dopo tanta sofferenza. Viviamo in una casa a 550 euro al mese in via Cavour, con la muffa. Una vergogna».
Giovanni Cagnassi
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