Sarde e saor, che coppia! Dai barili delle galee ai migliori menu gourmet

Venezia. L’unico cibo che resisteva che non andava a male erano le sardine. Cipolla utilizzata per evitare lo scorbuto. Poi le mandorle e l’uva passa 
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 01.08.2019.- SARDE IN SAOR.
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 01.08.2019.- SARDE IN SAOR.

VENEZIA. SI trovano nei menu delle sagre e in quelli dei ristoranti gourmet, spesso rivisitate secondo la fantasia degli chef. Le sarde in saor, piatto tipico della tradizione veneziana, immancabili nei giorni della festa del Redentore, ma anche in qualsiasi altra occasione buona per stare in compagnia, hanno una storia che arriva da molto lontano, e che si interseca con la storia della Serenissima. E dei marinai delle antiche galee.

Nei barili

Partivano verso le rotte più disparate, stipati nelle galee per giorni, settimane o mesi. La vita dei marinai, capitani e rematori all’epoca della Serenissima era dura e faticosa. Con il timone diretto verso le Fiandre, il Mar Rosso o Alessandria d’Egitto l’equipaggio partiva con l’obiettivo di vendere, comprare e commerciare. L’unico cibo che resisteva alle intemperie e che non andava a male erano le sardine in saor, conservate nei barili delle imbarcazioni. Vento, tempeste, mareggiate, le sardine resistevano a tutto. Nelle galee, lunghe 30 metri e larghe sei, c’erano infatti fino a 200 uomini che sfidavano i mari, la fatica e anche la fame. Le sardine erano compresse nei barili con cipolla e aceto. «Le sardine sono tipiche dei Paesi mediterranei, le si trovano in Spagna e in Portogallo, con salse o ragù» spiega Luciano Pezzolo, professore associato di Storia moderna ed economica a Ca’ Foscari e docente di Storia del commercio e dell’alimentazione al Master sul cibo dell’ateneo, «a Venezia venivano usate soprattutto per gli equipaggi perché qui il problema era come conservare il cibo per giorni o mesi in poco spazio».



La puzza delle galee

Immaginiamo come doveva essere la vita a bordo e quanto forti erano gli odori rispetto a oggi, al punto che il capitano Pantero Pantera in uno scritto afferma che l’arrivo di una galea si sentiva prima di tutto dalla puzza che emanava. Pezzolo racconta che nella lista di cibo da portare a bordo c’erano sardine e anche aceto, considerato un ottimo disinfettante, mentre la cipolla era utilizzata per evitare lo scorbuto. Il criterio per scegliere il cibo era quindi legato alla necessità che si conservasse, che evitasse di prendere malattie e che fosse tanto in quantità ridotte. «Anche la frittura era un modo per conservare il cibo» prosegue il professore.



Ricetta trecentesca

«Per quanto riguarda invece il sapore il piatto, secondo la ricetta trecentesca, veniva arricchito con mandorle e uva passa, quest’ultima proveniente dalle isole Ioniche, in particolare da Cefalonia e Zante», aggiunge Pezzolo. L’acquisto di spezie era tra le missioni principali delle navi commerciali veneziane che esploravano in lungo e in largo i mari e che subirono solo un momentaneo calo con la scoperta dell’America, il 3 agosto 1492, per poi riprendersi e riaffermare il dominio commerciale sulle acque. Nei barili le immancabili sardine che, con cipolla e uva passa, sono ingredienti tipici anche della cucina ebraica che, con quella veneziana, avrà sempre un rapporto osmotico. Il piatto, in un certo senso, all’epoca era internazionale perché univa un prodotto tipico di tutto il Mediterraneo e consolidava l’incontro tra culture diverse. Oggi le sarde in saor sono squisitamente veneziane, ma nei sapori sono custoditi secoli di imprese in terre lontane, mentre è rimasto intatto il piacere di consumarle in compagnia e nelle feste popolari. Con infinite discussioni su quale sia la ricetta migliore, tra pinoli, uvetta o mandorle. —

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