Re Mida, parlano le dipendenti «Noi non c’entriamo nulla»

I dipendenti della società di compro oro “Re Mida” sono all’oscuro di tutto. E, soprattutto, non hanno nulla a che fare con l’inchiesta della procura di Mantova che ha portato all’arresto di tre persone (Giampaolo Rizzatti, Silvia Villani e Alberto Rizzatti, marito, moglie e figlio) alla chiusura dei cinque negozi della città, e che vede indagate altre 17 persone, a vario titolo, per ricettazione, associazione a delinquere, truffa, ricettazione, riciclaggio, frode fiscale e commercio abusivo d’oro. Iscritti nel registro degli indagati per ora ci sono due persone che hanno lavorato per “Re Mida” a Mestre. I negozi sotto sequestro sono: due a Venezia, uno a Mestre, uno a Marghera, uno a Sottomarina. Qualche anno fa, quando erano alla ricerca urgente di un lavoro, avevano saputo che “Re Mida” cercava commesse e si erano sentite rassicurate dal fatto che la società fosse gestita da una famiglia, raccontano quattro dipendenti, Barbara Porri, Monica Greco, Elisa ed Elena Livieri.
«Quando pensi a una famiglia» spiegano «pensi sempre a qualcosa di positivo e di pulito». Lunedì, quando i finanzieri, in borghese, sono entrati nei negozi a dare la notizia e a sollecitare la chiusura, le commesse sono rimaste tutte a bocca aperte, incredule. Secondo l’accusa i titolari commerciavano abusivamente l’oro acquistato. «Vogliamo che sia chiaro» dicono «che noi non c’entriamo nulla. Abbiamo tutte una famiglia e dei figli e non vogliamo che ci sia il minimo sospetto che siamo coinvolte in questo scandalo». Le donne, dipendenti della società “Re Mida”, risultano «preposte» che significa che quando il titolare non c’è, a turno loro ne fanno le veci. «Abbiamo dovuto prendere la licenza di pubblica sicurezza anche noi», proseguono, preoccupate di perdere il lavoro e di non vedere arrivare lo stipendio, «e dopo che hanno constatato che avevamo la fedina penale pulita abbiamo iniziato. Non ci è mai successo nulla, la giornata peggiore è stata quella dell’altro giorno».
Le quattro si sono rivolte subito al sindacato della Cgil, ma fino a quando chi adesso ha in mano la società “Re Mida” non comunica il destino dell’impresa, loro non posso che attendere e sperare. «All’improvviso», proseguono, «ci troviamo a non sapere che cosa ci succederà e neppure se percepiremo lo stipendio».
Una situazione grave dato che, in un momento di crisi come questo, perdere il lavoro in questo modo provoca una grande rabbia e un grande senso di impotenza, oltre alla paura che qualcuno possa pensare male.
Francesco Furlan
Vera Mantengoli
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