Il caso dei diritti sul puzzle dell’Uomo Vitruviano, l’Accademia: «Valutiamo il ricorso»

Il direttore delle Gallerie Giulio Manieri Elia sul caso delle royalties è prudente rispetto a quanto stabilito dal Tribunale di Stoccarda sulla querelle con Ravensburger: «Decideremo se opporci in Corte di Cassazione tedesca»

Enrico Tantucci
L'ingresso delle Gallerie dell'Accademia a Venezia
L'ingresso delle Gallerie dell'Accademia a Venezia

«Non abbiamo per ora ricevuto né io né l’avvocato Giacomo Galli che per l’Avvocatura dello Stato ci affianca nelle vertenza contro Ravensburger e le sei controllate, la sentenza della corte d’Appello di Stoccarda. Una volta che sarà a nostra conoscenza valuteremo il da farsi e la possibilità anche di ricorrere contro di essa alla Corte di Cassazione tedesca».

È prudente il direttore delle Gallerie dell’Accademia Giulio Manieri Elia nell’esprimersi nei confronti del giudizio della Corte d’appello tedesca, che, confermando la sentenza già espressa dal Tribunale di Stoccarda, ha stabilito che la Ravensburger potrà continuare a produrre e vendere puzzle raffiguranti un'opera iconica conservata alle gallerie del’Accademia come l’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci.

Respinto perciò il ricorso del ministero della Cultura italiano e delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, che sulla base di un pronunciamento opposto del Tribunale di Venezia, chiedevano appunto il divieto di commercializzazione del puzzle – a meno di un eventuale accordo con il pagamento di royalties al museo – solo sul territorio nazionale a in tutto il mondo e anche online.

Per la Corte d’Appello invece le norme italiane che impediscono a Ravensburger di commercializzare l’Uomo Vitruviano in Italia non impediscono che sia possibile farlo in Germania. È ancora possibile un ricorso presso la Corte di Cassazione tedesca. Le Gallerie dell’Accademia di Venezia, da anni si sono lanciate in una battaglia legale internazionale per farsi riconoscere una parte degli introiti ricavati dalla commercializzazione dell’immagine dell’Uomo Vitruviano, come hanno fatto già altre aziende che commercializzano l’immagine di altre opere delle Gallerie dell’Accademia. Ravensburger ha realizzato e messo nei negozi il suo puzzle che raffigura il disegno leonardiano nel 2009, ma non ha mai versato un euro alle Gallerie, come prevederebbe il Codice dei Beni Culturali italiano (che parla anche della necessità di un’autorizzazione da parte del ente custode, anche questa mai richiesta dai tedeschi).

Manieri Elia aveva annunciato l’intenzione di andare all’assalto di souvenir non autorizzati, aprendo una battaglia contro il merchandising. Ravensburger e soci, però, non hanno incassato il colpo in silenzio e, anzi, hanno avviato una controcausa a Stoccarda, che ha dato ragione a loro.

«Ogni ordinamento giuridico nazionale è limitato al rispettivo territorio nazionale», recitava il verdetto, «Questo principio di territorialità è generalmente riconosciuto dal diritto costituzionale internazionale ed è espressione della sovranità di ciascuno Stato».

«Ravensbuger, con le aziende collegate – ha già dichiarato Manieri Elia – con cui avevamo cercato di raggiungere un accordo – sarebbe stata disponibile a corrisponderci una quota di royalties sulle vendite del loro puzzle solo sul territorio nazionale, ma non all’estero e non online e allora siamo stati costretti all’azione legale».

La sentenza della Corte d’appello costituisce un precedente che potrebbe fare scuola nell’ambito dei musei italiani. Gli Uffizi avevano già avviato una causa nei confronti della nota maison di moda Jean Paul Gaultier per l’uso a fini commerciali dell’immagine della «Nascita di Venere» di Sandro Botticelli. La casa di moda dello stilista francese aveva infatti utilizzato l’immagine della «Venere» riproducendola su alcuni capi d’abbigliamento maschili e femminili e pubblicizzandola anche sui propri social e sul sito senza però chiedere alcuna autorizzazione agli Uffizi né corrispondere un canone d’uso e rifiutandosi di farlo. Il problema è ora il riconoscimento del provvedimento emesso dal Tribunale di Venezia per l’uso dell’Uomo Vitruviano. E sconfessato dalla Corte di Stoccarda per le differenti legislazioni in merito. «Un’azione che parta dal Ministero della Cultura italiano in sede europea» ha già osservato Manieri Elia «potrebbe servire a fare chiarezza in questa direzione».

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