Presa tutta la banda di Giuseppe Mayer
Catturato anche il basista del gruppo che ha tentato la rapina costata la vita al giostraio di Marcon

La pistola Berardinelli 9X21 e i due passamontagna sequestrati dalla polizia ai banditi dopo la tentata rapina finita nel sangue
PADOVA.
Catturata tutta la banda di nove nomadi sinti che martedì sera ha tentato la rapina in una gioielleria di Portile, (Modena) e dove è rimasto ucciso il capo dei giostrai, Giuseppe Mayer, 61 anni, nato a Marcon e residente a Bollate nel Milanese. Molti componenti della banda sono domiciliati o risiedono nel Veneziano, tra Santa Maria di Sala e il campo nomadi di Trivignano (Mestre).
Ieri è stato catturato anche il nono uomo della banda. Ovvero il basista della tentata rapina finita nel sangue: Ouaib Variba, detto «Ivi», nato in Francia 50 anni fa, residente a Santa Maria di Sala, ma domiciliato a Castelfranco Emilia in via Fornai 23. Tre ore dopo l'assalto è stato localizzato a Padova grazie alle celle telefoniche e fermato al casello di Padova Est. Gli agenti della squadra Mobile di Padova diretti dal vicequestore aggiunto Marco Calì, hanno chiesto alla società che gestisce il tratto padovano della A4 di chiudere tutte le uscite del casello, lasciandone aperta solo una. Quando Ouaib Variba è passato con l'auto è stato identificato e bloccato. Il pm Emma Ferrero ha successivamente firmato il decreto di fermo di pg per tentata rapina in concorso. Secondo l'accusa «Ivi» è l'uomo che ha effettuato (sebbene non da solo) i sopralluoghi a dicembre e gennaio per preparare il terreno per il colpo al laboratorio orafo «Il Ciambellino» in via San Martino Mugnano 200 a Portile, una frazione di Modena. Con la cattura di «Ivi» la polizia ha chiuso in poche ore il primo cerchio attorno alla banda costruita attorno alla figura di Giuseppe Mayer e tenuta insieme da forti vincoli di parentela. Banda di nomadi sinti che aveva pianificato il colpo fallito l'altra sera e che ha lasciato a terra esanime proprio il capo, Giuseppe Mayer, 61 anni, nato a Marcon, detto «Peperly», due ergastoli e quattro secoli di galera, ma salvato dalla prescrizione. «Peperly», nonostante la «grazia» ricevuta non si era affatto ritirato dagli affari. Anzi, aveva ricucito i rapporti con sodali e parenti, con i quali aveva pianificato la rapina. Che Giuseppe Mayer fosse il capo, gli inquirenti non hanno dubbi: martedì sera era l'unico armato. Poco distante dal corpo, infatti, gli agenti hanno trovato una pistola Berardinelli 9X21, rubata a Neviano degli Arduini (Parma) nel 2009, che Mayer ha tentato di estrarre nel tentativo di guadagnarsi la fuga. Colpito sopra una spalla da un proiettile esploso da un poliziotto, l'uomo è morto poco dopo. Sarà l'autopsia a stabilire la causa: se Mayer è stato ucciso dalla pallottola o da un malore. Si sono, invece, arresi immediatamente i complici di Giuseppe Mayer. Arrestati per tentata rapina in concorso. Si tratta di Nada Pasquale, 39 anni, nata a Bressanone e domiciliata nel campo nomadi di Trivignano, dei fratelli Paolo e Riccardo Di Colombi, 45 e 26 anni, il primo residente a Trivignano, il secondo nel campo nomadi di via Matteotti 50 a Cadoneghe, Felice Mayer, 51 anni, fratello di «Peperly» e residente a Senago (Milano), Lidia Held, 50 anni, moglie di Ouaib Variba domiciliata a Castelfranco Emilia, Antonio Variba, detto «Tibi», 32 anni, figlio di Ouaib, residente a Santa Maria di Sala e Miroslav Velimirovic, detto «Miki», serbo di 42 anni, domiciliato nel campo nomadi abusivo a Voltabarozzo, vicino al cimitero. Sequestrate anche le auto: l'Alfa Romeo 166 di Velimirovic, la Bmw di Di Colombi e la Volkwagen Golf di Antonio Variba. E proprio nelle roulotte di Velimirovic è stata pianificata la rapina. In questi mesi i Variba, i Di Colombi e altri nomadi si sono riuniti a Voltabarozzo (Pd) per studiare nei dettagli il piano dell'assalto. Velimirovic, d'altra parte, è una vecchia conoscenza della Mobile. Arrestato nel gennaio di 4 anni fa, grazie alla sua collaborazione la polizia riuscì a sgominare una «holding criminale» specializzata nel traffico di armi da guerra. «Miki» aveva organizzato la «batteria veneta» con i fratelli Di Colombi che con questo colpo forse volevano fare il salto di qualità; passare dai furti (in abitazione e nelle auto) e la ricettazione per cui sono conosciuti alle rapine. Gli è andata male.
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