Plessi: «Il mio albero digitale a Venezia, spirituale e luminoso. Molte critiche sono polemiche da cortile»
L'artista spiega la sua installazione: «La tecnologia ci rende umani Pensate alla pandemia senza la possibilità di tenerci in contatto»

Interpress\M.Tagliapietra Venezia 04.12.2020.- Albero in piazza San Marco di Fabrizio Plessi.
VENEZIA. Guarda verso il mare da una parte e verso la terra dall’altra, rievocando il motto della Serenissima «par tera e par mar». Al posto di palle rosse e argentate è ricoperto di un flusso di luce in movimento, diretto verso il mondo. Non ha un tronco come tutti gli altri alberi, ma una struttura di metallo perché per Fabrizio Plessi il suo albero digitale è espressione di una «tecnologia umanizzata».
Ancora prima che venisse accesa, l’opera dell’artista, scelta dall’amministrazione per lasciarsi alle spalle il 2020 e salutare il 2021, ha sollevato polemiche, in particolare sui social. E così Plessi, 80 anni compiuti lo scorso 3 aprile, dopo aver liquidato gli attacchi con un sorriso («Sono d’accordo con chi dice su FB meno Plessi e più amplessi») ha voluto spiegare l’opera, entrando più in profondità. «L’immagine dell’albero di Venezia sta facendo il giro del mondo, accolta con grande entusiasmo. Con quell’immagine si sta diffondendo anche il significato che porta con sé, ovvero quello di essere un albero della tolleranza e della convivenza» spiega l’artista.
Si aspettava questa accoglienza?
«No, assolutamente. Io svolgo il mio lavoro con passione e sono rimasto in Piazza fino alle 7 del mattino per dare alla città che amo l’albero della tolleranza e della luce. Certo, ognuno giustamente ha il diritto di pensare e dire quello che vuole, ma queste polemiche ho la sensazione che siano da cortile. Siamo nella città della Biennale e devo dire che pensavo che i cittadini fossero più avvezzi alle opere di arte contemporanea».
Chi le ha proposto di realizzare l’albero?
«L’amministrazione mi ha chiesto di curare l’illuminazione della Piazza per trovare un dialogo con L’età dell’Oro, l’installazione di cascate di oro sulla facciata del Museo Correr. Quando me lo ha chiesto ho messo subito in chiaro che non avrebbero avuto un pino con le palle rosse, come quelli che si trovano a bizzeffe nei supermercati o un albero classico che considero commerciale, ma un’opera d’arte. Mi sono sentito di donare un’opera d’arte alla città che amo e che mi ha accolto quando avevo 14 anni. Credo che i veneziani dovrebbero essere contenti che le foto dell’albero di Venezia stiano facendo il giro del mondo perché se fosse stato un albero di quelli soliti non lo avrebbe notato nessuno».
Una delle critiche al suo albero è che sia freddo. Come mai ha usato il digitale?
«Sono piccolo, ma ho sempre voluto pensare in grande. Pensiamo al valore del digitale oggi, nel periodo della pandemia. Pensiamo alla solitudine che regnerebbe negli ospedali se non ci fossero i mezzi tecnologici che ci permettono di salutare una persona cara. Non solo negli ospedali. Grazie alla tecnologia possiamo comunicare, essere più vicini e parlare con il mondo intero. Ho usato il digitale perché è il mio materiale, quello che considero più vicino alla sfera spirituale perché è luminoso. Ho insegnato a lungo Umanizzazione delle tecnologie e questo albero, a mio parere, è la rappresentazione di quanto la tecnologia ci permetta di esprimere un messaggio di umanità. Capisco che la tecnologia possa essere vista in modo freddo, ma invito chi lo pensa a provare a vederla in un altro modo».
Qual è il messaggio di umanità della sua opera?
«Ho cercato di dare luce in un momento di buio e in una città deserta affinché questa luce potesse attraversare i confini ed espandersi. In questo gigantesco mosaico ogni tassello va in una direzione diversa, pur mantenendo la propria identità. Eppure è l’insieme di tutti questi tasselli a dare forza all’opera ed è l’intreccio che ne valorizza l’identità. Per questo parlo di albero della tolleranza perché l’opera racconta l’importanza della convivenza tra le diversità. In questo senso è un’opera democratica che si rivolge a tutte le persone, senza nessuna distinzione».
Lei prima ha parlato di un momento di buio. Che cosa intende?
«Per buio intendo ignoranza, apatia, indifferenza. Noi dobbiamo nutrire la nostra anima di cultura, di pensiero e di arte. Io ho cercato di dare luce alla modernità, curando tutta l’illuminazione della Piazza e pensando a una Venezia che ho sempre sognato».
Quale?
«Una Venezia che continui a essere ambasciatrice di un messaggio di incroci di civiltà e di luogo di cultura per eccellenza. Capisco che si parli di economia, ma anche la cultura è importante e non si valorizza allo stesso modo. Al di là dei turisti, Venezia dovrebbe essere il luogo dove si produce cultura, dove c’è il pensiero di produrre cultura. Ho pensato a tutto questo con il mio albero».
Vorrebbe dire qualcosa a chi ha criticato la sua opera?
«Ci sono rimasto quando ho letto frasi come Plessi bocciato, non sto dando un esame! Ho 80 anni. Ho fatto 540 mostre, partecipato a 14 Biennali ed esposto in 138 musei. Rispetto chi ha un pensiero diverso, ma vedendo com’è stato accolto in modo positivo all’estero mi sembra che disprezzarlo nella sua città sia un autogol».
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