Più pesce ma meno pregiato. Il mercato ittico soffre

 
CHIOGGIA.
Com'era prevedibile, anche il mercato ittico all'ingrosso ha risentito della crisi della pesca, particolarmente dopo l'entrata in vigore, a giugno, delle più restrittive norme europee. I dati macroscopici parlano di una diminuzione del prodotto conferito dell'1,25% (da 14 milioni 212mila a 14 milioni e 35mila chilogrammi, circa 177mila chili in meno) e di una diminuzione del valore di questo prodotto del 3,33%, (da 47 milioni 291 mila a 45 milioni 716mila euro, cioè una flessione di oltre un milione e mezzo) ma per capire le dinamiche occorre entrare più nel dettaglio.  In termini di quantità, il pescato di provenienza esterna (nazionale o estera) è diminuito del 6,56%, quello di provenienza locale è aumentato dello 0,42% e questo piccolo aumento è il risultato della diminuzione generalizzata del prodotto di laguna, valle e acqua dolce, compensato dall'aumento del prodotto di mare (+1,62%). Ma anche tra i prodotti di mare ci sono differenze: se si escludono, infatti, le grandi quantità di alici e sardine (oltre il 65% del pescato di mare complessivo) il volume conferito nel 2010 è inferiore di quasi il 6% rispetto a quello del 2009. In altre parole è il pesce azzurro, da sempre punto di forza del mercato di Chioggia, che viene pescato di più (cosa particolarmente evidente nel secondo semestre) ma rende meno, dato che il suo prezzo medio è in calo (rispettivamente del 2,41 e del 15,25%) rispetto al 2009. In definitiva l'entrata in vigore delle nuove norme comunitarie ha causato la diminuzione delle catture del pesce locale diverso dal pesce azzurro e il fenomeno sembra destinato a perdurare ed aggravarsi nel 2011.  Tra i prodotti di laguna da rlevare il consistente calo di catture di seppie (-40%) e seppioline (che raggiunge ben il -86%). Ma il calo di fatturato del mercato ittico è dovuto principalmente alla diminuzione di conferimenti esterni. Infatti il pesce nostrano conta per il 77% nelle quantità, ma solo per il 53% nel valore. Quello esterno, invece, 23%, in termini di volume, conta per il 46% del valore, equamente suddiviso tra nazionale ed estero. In pratica il nostro pesce, oltre che essere più raro, sta perdendo valore. Un'indicazione economica obiettiva che conferma, se mai ve ne fosse stato bisogno, le brutte attese del comparto pesca per i prossimi anni.

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia