Pesca di frodo in acque vietate: 125 indagati

Nuova indagine sulle “vongole nere” raccolte rovinando i fondali e vendute senza i necessari nulla osta sanitari
Roberta De Rossi

venezia

Torna d’attualità nelle aule di giustizia veneziane l’affare mai sopito delle “vongole nere”, pescate di frodo in acque proibite e con metodi di raccolta vietati. Una pesca abusiva presente in laguna di Venezia da quando esiste Porto Marghera, attirata nei canali vicini alle industrie dove l’acqua è più calda e più “ricca” di molluschi e assolutamente proibita.

Sono 125 i “vongolari” e i commercianti di molluschi di Pellestrina, Chioggia, Rovigo, della provincia di Ferrara, ma anche di Palermo e della provincia di Napoli sui quali il pubblico ministero della Procura di Venezia Giorgio Gava ha chiuso le indagini e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio. La gran parte è accusata dal pm di associazione per delinquere finalizzata al danneggiamento della laguna di Venezia per aver realizzato un’organizzazione dedita «in violazione alla normativa che disciplina la raccolta rifiuti nella Laguna di Venezia, ad operazioni di pesca abusiva con metodologie meccaniche recanti danno ai fondali della laguna di Venezia, in questo imperniate sull’aratura dei fondali e sul “saccheggio” dei sedimenti, da cui la distruzione delle forme di vita che vi albergano, il depauperamento dei fondali medesimi e l’alterazione degli equilibri dell’ecosistema lagunare» inteso come bene pubblico, scrive il pm nell’avviso di conclusione delle indagini.

I pescatori si sarebbero accordati e coordinati tra loro per aiutarsi nell’individuare le pattuglie delle forze dell’ordine impegnate nei servizi anti-pesca abusiva, creando - scrive ancora Gava - «una vera e propria rete solidale di natura informativa per l’osservazione delle manovre delle imbarcazioni dei carabinieri e della Guardia di Finanza, posizionando “pali” con il compito di monitorare i movimenti delle imbarcazioni delle forze dell’ordine e avvertire preventivamente i soggetti impegnati nelle operazioni di pesca, dell’approssimarsi di pattuglie di polizia». Così i ruoli erano ben ripartiti. I pali e la nutrita truppa dei pescatori abusivi era all’opera rimestando i fondali con le eliche di motori e catturando le vongole con le “gabbie”, nei vietatissimi canali Vittorio Emanuele e Canale Nuovo Fusina. Il pm Gava elenca i danni all’ambiente: «Aratura dei fondali, distruzione delle forme di vita che vi albergavano, saccheggiamento dei sedimenti e alterazione degli equilibri dell’ecosistema lagunare». Vongole pescate anche a ridosso dei lidi ferraresi e rodigini. Decine e decine di migliaia di chili di “vongole nere” senza le certificazioni necessarie. Una parte degli indagati è così accusata di associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio: ne risponderanno quanti - nella filiera della pesca abusiva - si occupavano dello smercio dei molluschi. E scatta anche l’accusa di ricettazione.

Un’indagine che nasce dai sequestri di vongole operati nel 2016. Sei le società sotto verifica: Ittica Allevamenti Ca’ Pellestrina con sede a Porto Tolle; la società Amo Mar di Ferrara; L’Acquaviva di Porto Viro; Zamar Finittica (gia Ittica San Giorgio); Lepore Mare Spa. Ora gli avvocati dei 125 indagati potranno depositare memorie difensive o chiedere l’interrogatorio. Tra un mese il pm deciderà per chi chiedere il rinvio a giudizio al giudice per le indagini preliminari.

Nei mesi scorsi si è conclusa un’altra vicenda giudiziaria del tutto simile: oltre un centinaio di patteggiamenti e una quarantina di pescatori di Chioggia e Pellestrina assolti.



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