Part-time negato alla capotreno Lettera alla Boschi: «Mi aiuti»

Da quando è diventata mamma la dipendente di Trenitalia chiede, senza successo, l’orario agevolato che viene concesso dal 2015. «Spero che Lei possa intercedere con il direttore del personale»

MESTRE. Part-time per motivi familiari negato per 4 anni di seguito: l’odissea di una dipendente di Trenitalia finisce sul tavolo di Maria Elena Boschi, ministro per i rapporti col Parlamento con delega alle pari opportunità. La donna, veneziana, residente da alcuni anni nell’hinterland della terraferma, è una delle tante mamme lavoratrici che vivono concretamente le difficoltà organizzative ed economiche legate al loro doppio ruolo. Dopo una trafila con sindacati, uffici provinciali e assistenti legali, la donna ha deciso scrivere direttamente al governo.

«Nel 2012 sono diventata mamma», recita la lettera indirizzata al ministro Boschi, «e ho richiesto il part-time o un’agevolazione nell’orario di lavoro, per svolgere bene i compiti che mi sono affidati in ambito lavorativo e contemporaneamente accudire mio figlio, verso il quale ho dei doveri come madre altrettanto vincolanti. Il part-time mi è stato negato con la motivazione della carenza di personale. Nell’agosto 2015 sono diventata nuovamente mamma e il part-time mi è stato nuovamente negato».

Dal 2012 ad oggi, ogni sei mesi, la direzione risorse umane di Trenitalia, divisione Nordest con sede a Mestre, ha ricevuto le ripetute richieste della donna, un capotreno, di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. La risposta è stata sempre la stessa: picche. Che si trattasse di veder riconosciuti i diritti previsti dal Contratto collettivo nazionale, o le nuove norme introdotte dal Jobs Act, i responsabili di Trenitalia hanno sempre negato la riduzione di ore lavorative, con formule di rito: «Al momento la richiesta non può essere accolta per l’attuale situazione del personale».

Ogni volta una doccia fredda. Perché quando non è possibile fare affidamento sui nonni, quando si lavora con turni che possono iniziare alle 5 di mattina, o finire alle 22, quando il marito è fuori casa per molte ore al giorno e si hanno due figli a carico, è molto dura, se non impossibile, conciliare maternità e lavoro. Gran parte dello stipendio se ne va in baby sitter.

«Non sono nelle condizioni di chiedere aiuto alla mia famiglia e a quella di mio marito perché abitano lontano da casa e sono afflitti da malattie che li rendono non idonei ad occuparsi con continuità dei miei figli», spiega la donna nella lettera. «Ho chiesto aiuto al sindacato, al dipartimento territoriale del lavoro di Venezia e alle rappresentanti per le pari opportunità, ma nessuno è stato in grado di aiutarmi. Conosco la normativa introdotta nel 2015, ma l’azienda non mi ha fatto alcuna proposta alternativa di orario agevolato, telelavoro, part-time verticale. Spero lei possa intercedere con il direttore del personale, Giuseppe Borziello, e convincerlo a rispettare la normativa vigente per consentirmi di lavorare e di seguire i miei figli in modo decoroso».

Quale risposta ha dato finora Trenitalia? In Veneto l’azienda conta 356 capitreno: 129 sono donne e il 94,56% di loro ha un’età inferiore ai 40 anni. Fino al 2015 per queste figure professionali non era previsto il ricorso al part-time. Successivamente, con l’accordo sindacale siglato il 7 agosto 2015, è stata introdotta un’aliquota minima. A beneficiarne però sono solo in 4, in base a una graduatoria periodicamente aggiornata. Molto altro, in base alle nuove leggi, si potrebbe fare: progetti ad hoc, finanziamenti, ma anche su questo fronte negli ultimi mesi, sono arrivati ulteriori “no”. Che risposta darà il ministro Boschi?

Matteo Marcon

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