Orsoni: «Il simbolo degli uomini liberi»

«Io e mia moglie siamo poveri. Potremmo essere tentati di venderle....» Con questa battuta Nelson Mandela riceveva dodici anni fa dall’allora sindaco Paolo Costa e dalla presidente del Consiglio comunale Mara Rumiz le chiavi della città e la cittadinanza onoraria di Venezia. Il simbolo vivente della lotta conto il razzismo e la segregazione arriva in laguna il 25 settembre del 2001, appena due settimane dopo l’attentato alle Torri gemelle.
Viene a ritirare l’onorificenza che la città gli ha dedicato 14 anni prima, quando lui era ancora detenuto nelle prigioni sudafricane. Ventisette lunghi anni di galera nel penitenziario di Stato di Robben Island, un isolotto di fronte a Città del Capo, uno dei simboli più tristemente famosi della ferocia segregazionista del regime di Pretoria. Mandela ha superato gli ottant’anni, si è sposato da poco con la sua terza moglie Simbine Machel, vedova di Simone Machel, presidente del Mozambico, altra icona nella lotta di liberazione africana.
«Madiba» sorride mentre riceve la cittadinanza e libri in dono. Uomo fiero, icona immortalata in anni di foto, film, libri. Artisti di tutto il mondo gli hanno dedicato musiche e immagini, e sul suo sorriso buono non vi è traccia della sofferenza patita in 27 lunghi anni di carcere. «Incontrarlo fu un’esperienza straordinaria», ricorda il giornalista Guido Moltedo, allora portavoce del sindaco, «un indescrivibile e inaspettato privilegio. L’onorificenza gli venne consegnata nella hall dell’albergo, perché già allora Mandela aveva problemi a spostarsi. Quello che era nel frattempo diventato il primo presidente del Sudafrica libero indossava un camicione colorato.
«Oggi piangiamo la scomparsa di un uomo libero, simbolo e forza di tutti gli uomini liberi», ha detto ieri il sindaco Giorgio Orsoni. «Nel consegnare a Mandela le chiavi della città Venezia fece allora una scelta importante per testimoniare la vicinanza a quest’uomo, simbolo dei diritti civili, che dalla cella di un carcere muoveva le coscienze del mondo intero. La forza di quest’uomo sarà per noi sempre un esempio, e il suo messaggio di libertà indicherà la strada alle future generazioni. «Era un nostro cittadino onorario, e con lui è una grande personalità anche nostra a scomparire», lo ricorda Gianfranco Bettin, tra i promotori della campagna che portò alla fine degli anni Ottanta a conferire a Mandela la cittadinanza veneziana, «ci lascia una traccia profonda e fertile, a noi come nel resto del mondo».
«Preoccupato del clima internazionale e del terrorismo, aveva comunque voluto visitare la città, si era informato dell’acqua alta, quasi dispisciuto di non poterla vedere, ricorda Bettin. Quanto alla situazione internazionale aveva pronunciato parole profetiche dopo l’incubo dell’11 settembre. «Le cose cambieranno, anche se la strada sarà lunga», aveva detto sorridendo e quasi citando il titolo della sua autobiografia “Long walk to freedom”. «Siamo fieri di averlo avuto come concittadino, certi di averlo per sempre come fonte di ispirazione».
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