Operaio muore per amianto Comune e Veritas condannati

Il giudice del lavoro ha stabilito un risarcimento di 44mila euro per i familiari L’uomo aveva operato a contatto con le tubature della rete dell’acquedotto

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Ad aprile del 2014 aveva scoperto di avere un mesotelioma pleurico. Un anno dopo, per quella malattia era morto. Ora la vedova ed i figli di un operaio addetto all’acquedotto di Venezia saranno risarciti con oltre 44mila euro in quanto è stato accertato che la patologia che ha causato la morte dell’uomo fosse strettamente connessa ad un contatto prolungato con l’amianto sul posto di lavoro. Lo ha deciso la giudice del lavoro Barbara Bortot con la sentenza pubblicata nelle scorse settimane. A pagare saranno, in parti uguali tra loro, tutti i datori di lavoro dell’operaio, tenuto conto che, come si legge nella sentenza, «Nell’impossibilità di individuare scientificamente un momento preciso di esordio della malattia, deve ritenersi che l’esposizione protratta nel tempo abbia in ugual misura contribuito all’insorgenza della patologia o quantomeno a diminuirne i tempi di latenza, con la conseguenza che tutti i datori di lavoro sono responsabili». Dovranno dunque dividersi il pagamento della somma disposta dal giudice il Comune di Venezia, Veritas e Acea spa quale mandataria di Crea Impianti dell’Acquedotto spa.

L’operaio aveva iniziato a lavorare nel 1964 per Crea, poi dal 1974 per il Comune, quindi dal 1978 per Aspiv, ora Veritas, svolgendo sempre le stesse mansioni di operaio addetto alla posa e alla manutenzione delle condutture della rete idrica. Nel corso del procedimento è emerso come l’amianto fosse stato usato fino ai primi anni Novanta per riparare le condutture in eternit. «Gli operai, costretti a inalare una consistente quantità di fibre di amianto in particolar modo durante le operazioni di sezione e taglio delle tubature, non avevano a disposizione alcuno strumento protettivo, posto che solo dagli anni Novanta sono stati dotati di una mascherina di carta e di tute di carta. Fino a quel momento, per ripararsi dall’inalazione, gli operai utilizzavano i propri fazzoletti e le tute da lavoro venivano lavate a casa». Conclude la giudice che l’esposizione dell’operaio sia stata «massiccia e protratta nel tempo». —



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