Non era “furbetta”, risarcita dalle Poste

Il giudice: il licenziamento è illegittimo, l’azienda dovrà pagare alla dirigente 18 mesi di indennità oltre a 90 mila euro 
le Poste di via Torino, Mestre
le Poste di via Torino, Mestre



Il licenziamento è illegittimo e il datore di lavoro dovrà pagare 18 mesi di indennità dirigenziale, oltre a 90 mila euro di indennità sostitutiva del preavviso. Si torna a parlare dello scandalo delle lettere-civetta che aveva investito Poste Italiane dopo l’inchiesta pubblicata negli anni scorsi dal Fatto Quotidiano sul sistema di intercettazione - e conseguente creazione di un canale privilegiato di lavorazione - delle lettere utilizzate da società esterne addette al controllo per monitorare la qualità del servizio di recapito. Il tutto per far risultare uno standard di qualità migliore e quindi il mantenimento degli obiettivi ministeriali.

Nel vortice era finita anche una dirigente all’epoca in servizio alla Direzione commerciale mercato business e pubblica amministrazione - Area territoriale Nord Est con sede in via Torino. La donna, in quanto dirigente, era stata licenziata assieme ad altri nove pari grado in tutta Italia (Poste aveva comminato anche tutta una serie di altri provvedimenti a carico di oltre mille dipendenti) nel febbraio 2016. L’accusa era quella di aver sostanzialmente fatto parte del meccanismo che permetteva alle lettere-civetta di avere un canale preferenziale, così da consentire alle Poste di apparire in regola con i parametri del Ministero.

La dirigente aveva fatto ricorso contro il licenziamento, perdendolo. Di recente la giudice del lavoro Margherita Bortolaso si è espressa invece sulla richiesta della donna di ottenere l’indennizzo previsto dal contratto per i dirigenti. Ed ha ottenuto ragione.

Nell’accusarla, Poste si era mossa sostenendo che la dirigente era stata destinataria di una corrispondenza via mail scambiata tra addetti e responsabili di strutture da cui, si legge negli atti di Poste, «emerge incontrovertibilmente l’illecita finalità di far risultare una qualità del servizio divergente da quella reale». «Non risulta», aveva aggiunto Poste nella contestazione, «che lei abbia contrastato la condotta né segnalato la stessa ai competenti organismi aziendali».

Scrive la giudice nella sentenza che «Certamente la ricorrente è stata messa a conoscenza del gatto che venissero intercettate e attenzionate le lettere-test. Non vi è invece prova alcuna che la stessa ricorrente abbia dato disposizioni su come intercettare e come creare una via preferenziale, né abbia dato indicazioni di quali fossero le lettere-test». E poi ancora: «Nessuna delle mail contiene istruzioni operative impartite dalla dirigente a monte». Conclude la giudice sostenendo che la dirigente era sì consapevole dell’intercettazione delle lettere-civetta, «ma non anche che abbia avuto un ruolo attivo nel sistema. Dunque l’unico fatto sussistente è di non aver contrastato il meccanismo illecito e di non averlo segnalato agli organismi aziendali». Un comportamento, quest’ultimo, che secondo il giudice non è stato fatto dolosamente, «bensì ritenendo che i vertici aziendali ne fossero già a conoscenza e tacitamente la avvallassero». L’omissione non ha, per il tribunale, valenza disciplinare tale da ledere il vincolo fiduciario tra azienda e lavoratore. Anche perché, dice la giudice, Poste già nel 2007, con conferma nel 2011, era a conoscenza dell’attività di tracciamento delle lettere-spia. —



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