«Noi, in mezzo all’inferno di Strasburgo»

Le ragazze di Fossalta di Piave erano a pochi metri da dove Cherif ha colpito, rifugiate nel ristorante chiuso

FOSSALTA DI PIAVE. Una porta si apre, una si chiude. Fuori l’inferno, loro salve. Per caso. Irene Pivetta e Marika Furlanetto stavano cenando al ristorante “La Chaine d’Or” quando Cherif Chekkat ha cominciato a sparare. Poco prima loro erano proprio dove è caduto il piombo. . Sono due ragazze di Fossalta di Piave, di 24 e 19 anni, arrivate a Strasburgo grazie al concorso “Alessio Solinas” organizzato dal Movimento per la Vita. Irene è una responsabile nazionale mentre Marika è una dei vincitori del premio che prevedeva, appunto, un viaggio a Strasburgo per visitare il Parlamento europeo.

Hanno visto e non sono del tutto convinte di quanto successo. «Siamo passate poco prima proprio per i posti in cui quel ragazzo ha sparato rubando la vita a tre persone», spiega Irene, «era tutto strapieno di turisti e scolaresche: le vie con la bancarelle, i negozi e i ristoranti. Se lui avesse voluto davvero colpire duro avrebbe potuto fare una strage». Il loro gruppone (12 accompagnatori e 60 ragazzi dai 17 ai 20 anni provenienti da 15 regioni) è arrivato al ristorante e su due piani: piano terra e sotterraneo. Hanno scelto il sotterraneo per stare tranquilli e poter fare «un po’ di casino». Stavano cenando quando Davide Rapinesi, 22 anni, uno degli accompagnatori che era salito in strada a fumare una sigaretta si è trovato in mezzo agli spari. «Si è catapultato dentro e ha spiegato quanto succedeva a noi accompagnatori, che invece, nella confusione di 70 persone in sotterraneo, non avevamo sentito nulla», racconta Irene, «Abbiamo deciso di non dire nulla ai ragazzi per non creare panico».

«Seeee», ride Marika, «abbiamo capito subito che stava succedendo qualcosa. I clienti del piano terra sono corsi giù, spinti dal personale che ha spento le luci e chiuso le serrande. Il proprietario ci ha detto di stare calmi, ma alcune ragazze del gruppo hanno cominciato a piangere. Io no», sottolinea con orgoglio, «ma ho subito mandato un wathsapp ai miei. Poi li ho chiamati dicendo che stavo bene. Loro non sapevano niente e ridevano dicendomi: “Ma cosa è successo che ti ricordi di noi?”. Poi, ma solo alla fine della chiamata, glielo ho detto a mia madre. E non ha più riso».

«Ci hanno permesso di uscire solo alle 23,15 e siamo passati per i varchi di polizia», dice Irene, «poi il giorno dopo, proprio per ribadire la voglia di reagire, siamo andati comunque a visitare il Parlamento».

«Fortunati? Beh, sì, molto», ammette Marika, «devo ringraziare e pregare per le famiglie colpite». —



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