Niente corruzione, abuso d’ufficio forse

Chiesto il rinvio a giudizio per il sindaco Bornancin, archiviazione per Teso
SAN MICHELE. Il prossimo 30 novembre, davanti al giudice veneziano Stefano Manduzio che dovrà decidere se vi siano prove e indizi per mandarli sotto processo, compariranno in otto tra cui il sindaco di San Michele al Tagliamento, Sergio Bornancin, anche se non per il grave reato di corruzione bensì per quello di abuso d’ufficio. Il pubblico ministero Giorgio Gava, infatti, ha chiesto per gli altri dieci indagati, tra cui il consigliere regionale di An Moreno Teso, l’archiviazione delle accuse nei loro confronti.


L’inchiesta sul Piano integrato di riqualificazione urbanistica e ambientale di Bibione (Piruea) è conclusa e l’accusa più grave, che riguardava il primo cittadino, il suo più strenuo oppositore e l’imprenditore Franco Basso, finisce in archivio, trascinando con sé il rappresentante di Alleanza nazionale e l’imprenditore, ma non il sindaco, che dovrà difendersi davanti al magistrato per abuso d’ufficio. Con lui buona parte della giunta comunale dell’epoca: il rappresentante della Procura, infatti, ha chiesto il rinvio a giudizio degli allora assessori della Margherita Pasqualino Codognotto, Robertino Driusso, Claudio Giacobini e Flavio Maurutto, dell’imprenditore Ennio Meotto e del dirigente comunale Giannino Furlanetto.


Il pm Gava ha chiesto l’archiviazione delle accuse oltre che per Teso e per Basso anche per i due ex assessori Ds Antonio Boldarin e Alfredo Francesconi, dei figli del sindaco Bornancin, Livio e Michele (all’epoca dei fatti semplici studenti), dei fratelli Alessandro e Gabriele Zamarian (il primo architetto, il secondo geometra) e delle loro mogli Oriana Massarutto e Silvia Corradini. L’ipotesi dell’accusa per i fatti di corruzione sosteneva che c’era stato un accordo per fare in modo che la «Iti Spa» di Basso acquisisse l’ex area Peep. In cambio da un lato il sindaco dall’altro l’esponente di An Teso avrebbero acquisito terreni poi utilizzati per i loro affari. Nei loro confronti, però, le prove non hanno retto: Teso soprattutto è riuscito a dimostrare che quel terreno lo ha pagato ad un valore di mercato e soprattutto che la compravendita è avvenuta un anno dopo l’approvazione del Piruea.


A far scattare l’inchiesta erano stati gli esposti del Comitato Difesa Territorio, il quale aveva sostenuto che molti dei personaggi coinvolti nell’indagine avessero pianificato fin dal lontano 1998 la presunta speculazione edilizia. Si sarebbe trattato di un sistema basato sulla progressiva nascita e veloce chiusura di società immobiliari con al centro un capitale sociale formato dalla rivalutazione di terreni acquistati precedentemente e diventati nel frattempo da agricoli a edificabili.

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