’Ndrine calabresi, tra gli imputati Baldan di Mira

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Primo, affollatissimo appuntamento in aula bunker a Mestre per la maxi udienza preliminare che dovrà decidere il destino processuale di 84 imputati: l’inchiesta è quella nata dalle indagini dei carabinieri del Ros e coordinata dalla Procura antimafia di Venezia (con i pm Patrizia Ciccarese e Andrea Petroni) sul radicamento ormai ventennale nel Veronese di esponenti delle ’ndrine calabresi della piana di Gioia Tauro, con affari che si sono spinti fino al Veneziano e al Trevigiano.
“Taurus” il nome dell’operazione, che ha inanellato 109 capi di imputazione, contestando a diverso titolo agli imputati tutta una serie di reati che caratterizzano la presenza delle mafie al Nord: dall’associazione di stampo mafioso all’usura e alle estorsioni (con tassi dal 300 a oltre il 600 per cento), minacce, rapina, ricettazione, riciclaggio, traffico d’armi e di stupefacenti.
Ed è proprio la droga a coinvolgere nell’inchiesta anche il pregiudicato veneziano di Mira Gabriele Baldan (55 anni, “allievo” di Maniero), accusato di aver comprato cocaina a chili dal trevigiano Simone Conte (47enne residente a Mareno di Piave), che a sua volta aveva in Agostino Napoli il referente, che aveva trasformato il suo negozio di tabacchino a Sommacampagna in luogo d’incontro per le trattative. Quattro chili di cocaina a 39 mila euro al chilo in un’occasione (ricostruisce la Procura), 5 in un’altra (a 38 mila euro al chilo) e altri 5 chili in una terza fornitura nel 2014. Fermato a un posto di blocco dei carabinieri, nel gennaio del 2015, Baldan aveva cercato di scappare speronando l’auto dei militari. Accusati di aver acquistato dall’associazione, invece, marijuana in grandi quantità –per poi rivenderla agli spacciatori – i cittadini kossovari residenti a Paese Eduart e Eugen Lekay, Querim Lumi di Treviso e Fatjion Murati (Quinto di Treviso). Al vertice, otto gli imputati accusati del reato di associazione criminale di stampo mafioso e tra loro colui che è ritenuto il capo dell’organizzazione, Carmine Gerace (40 anni) detto “Carminello”, figlio del defunto Filippo Gerace, riconosciuto come «elemento apicale», scrivono i magistrati, «della struttura veronese della ’ndragheta».
Carminello, arrestato lo scorso luglio, aveva «compiti di decisione, della gestione dei rapporti con altri gruppi criminali, delle risoluzione dei contrasti». Al suo fianco c’erano Antonio Albanese e Giuseppe Napoli, e sotto di loro Giuseppe, Francesco e Diego Versace, Agostino Napoli e Mario Gerace.
Ieri, dunque, il via all’udienza preliminare davanti al giudice Luca Marini. Le difese hanno contestato la competenza territoriale di Venezia, la Procura si è opposta: il gup scioglierà la sua riserva lunedì prossimo, quando deciderà anche sulla richiesta di costituzione di parte civile avanzata dalla Regione Veneto, dalla Cgil regionale e di Verona e da tre parti offese. —
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