Morto per lo schianto in moto, la disperazione della madre: «Ho il cuore spezzato»

La tragedia di Santa Maria di Sala. Chiara Spagnolo, madre di Roberto Sangiovanni: «Ora una battaglia per la sicurezza stradale, quel punto è pericoloso: è mai possibile che non si possa fare qualcosa?»

Massimo Scattolin
Chiara Spagnolo
Chiara Spagnolo

Chiede di poterci vedere al bar del Lando, mamma Chiara Spagnolo, per parlare di Roberto Sangiovanni, il figlio ventenne che da martedì mattina non c’è più. «Perché lui veniva qua con i suoi amici: compravano cose da mangiare, le bibite energetiche. E io gli dicevo: ma proprio lì dovete andare? E ora eccomi qua anch’io». Quasi la disperata ricerca di un contatto fisico, lì dove Roberto, spesso, si ritrovava con i suoi amici.

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Un selfie di Roberto Sangiovanni

Giovedì scorso lo schianto, a Santa Maria di Sala. Martedì la comunicazione dall’ospedale che ormai non c’era più nulla da fare. Il mondo che crolla addosso a lei, al marito Stefano, dipendente delle Poste, e ai fratelli di Roberto: Helena, che mercoledì 18 giugno ha affrontato la prima prova della maturità e Andrea, appena 12 anni.

«Mi si è staccato un pezzo di cuore» sospira Chiara, arrivata da Eboli a Noale nel 2017, da sola, per insegnare, poi seguita l’anno successivo da marito e figli. «Il resto è diviso tra gli altri miei due figli, ma un pezzo non c’è più».

La famiglia ha deciso di acconsentire alla donazione di tessuti - «gli organi no, non si poteva più» - anche se con Roberto non ne avevano mai parlato direttamente. Perché a vent’anni non ci pensi. «Ma alla fine questo è forse un modo per dare un senso a una cosa che un senso non ce l’ha» allarga le braccia mamma Chiara «Mi piacerebbe sapere a chi andranno le sue cornee, chi aiuterà a vedere».

Le chat del telefonino sono invase da centinaia di messaggi tutti uguali. «Tutti mi scrivono: non ci sono parole. Ed è vero: che parole vuoi avere? È un incubo che non finirà più. Spero che il tempo lenisca il dolore».

«Avevo anche aperto una chat Forza Roby» racconta Chiara «Un paio di giorni dopo l’incidente. C’erano poche persone, quelle più vicine a Roberto. L’avevo aperta per aggiornarli sulle sue condizioni, l’avevo aperta sicura che poi l’avrei chiusa quando si fosse ripreso, perchè doveva riprendersi, sapevo che sarebbe stato così. Invece no».

È il momento di aggrapparsi ai ricordi, questo. «Ricordo l’ultima volta che l’ho visto, giovedì mattina. Lo salutavo sempre prima che andasse al lavoro. Mi ero attardata e lui era già giù, in sella alla moto. Mi ha guardata verso l’alto agitando la mano per salutarmi, ma chissà perché ricordo un’espressione triste».

Un velo su quel sorriso che invece conquistava tutti. «Lui era dolce, garbato, sensibile» racconta la mamma «Certo lo sgridavo perché non metteva in ordine la camera, ma è stato il mio sostegno in momenti di difficoltà. E non solo perché era il mio assistente personale con il pc. Roberto poi era un mito per il fratellino più piccolo, che lo adorava. Condividevano la stessa stanza, che Roberto aveva trasformato in una sorta di studio di registrazione con due schermi, webcam, microfoni. Giocavano insieme alla Play, lo rincorreva per casa mimando schiaffi alla Cannavacciuolo, andava a vederlo alle partite di calcio. Anche con la sorella: un tempo cane e gatto, negli ultimi anni sempre più complici».

Amava la musica, Roberto. «Non quella commerciale. Adoravo ascoltare anche io le sue playlist. Eat your young di Hozier negli ultimi tempi. Quando usciva la sera, mentre si sistemava i riccioli, la sua colonna sonora era Kehlani di Jordan Adetunji». Musica tutt’altro che convenzionale. Ma in linea con Roberto, ventenne speciale, a volte disarmante. «Come quella volta che al corso di teatro, nel discorso motivazionale confessò di essere lì solo per i crediti. In realtà poi gli era piaciuto». La moto? «Era un premio per la maturità, lui la chiedeva da anni». Nessuna recriminazione, non servirebbe.

E ora che Roberto non c’è più, mamma Chiara ritorna allo schianto. «Mi hanno detto che lì ci sono stati altri incidenti gravi» sottolinea «E allora io non mi do pace. Non so di chi sia stata la responsabilità a quell’incrocio. Ma possibile che non si potesse e non si possa fare qualcosa se quello è un punto pericoloso? E allora che si faccia qualcosa. Mi impegnerò concretamente perché queste tragedie non si ripetano. Perché mio figlio è morto, la ragazza che l’ha investito forse aveva appena preso la patente, forse ha avuto un attimo di indecisione e poi è passata. Ma se ci fosse stata una rotonda, magari avrebbero rallentato. E questo avrebbe potuto fare la differenza».

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