Morto Levak, patriarca dei rom

Lascia 13 figli e 184 fra nipoti e pronipoti, oggi attese mille persone
 
CATENE.
E' morto Emilio Levak detto Mirko patriarca dei rom Kalderash, stanziali in città da oltre 60 anni. Aveva 84 anni e lascia 13 figli (erano 14, ma una figlia è morta) e 184 tra nipoti e pronipoti. Oggi alle 10, la chiesa di Santa Maria della Salute ospiterà i funerali del grande vecchio dei nomadi, sono attesi Levak e altre famiglie gitane provenienti da mezza Europa.
 Emilio Levak era un sopravvissuto allo sterminio nazista degli zingari e aveva combattuto al fianco dei partigiani per la liberazione dell'Italia dal fascismo. Il patriarca è morto nella notte tra domenica e lunedì per infarto. La figlia l'ha trovato senza vita nel letto quando, al mattino, gli ha portato il tè con i biscotti, come faceva ogni giorno. «Aveva un'espressione serena - racconta il figlio Loris - per cui speriamo che se ne sia andato senza soffrire». Ieri intanto, c'è stata la processione dei parenti e dei tantissimi amici e conoscenti alla casa di via Catene 61. È stata allestita la camera ardente al piano terra. Davanti al feretro hanno sfilato per ore i Levak provenienti da mezza Europa. Vicino alla bara, tanti fiori e le foto di un giovanissimo Mirko nel giorno del matrimonio. Sua moglie Silvana Boscolo Udorovich, era morta 11 anni fa. «Mio padre - racconta ancora il figlio Loris - è morto lo stesso giorno della scomparsa di mia madre. Andava a trovarla tutti i giorni al cimitero di Marghera e le leggeva i passi della Bibbia. Sembra incredibile - aggiunge - ma sono sicuro che mio padre se lo sentisse che stava per raggiugere la mamma. Qualche giorno fa era andato in cimitero, per chiedere che gli tenessero libero un posto vicino a mia madre. Voleva essere seppellito accanto a lei. La loro è stata una storia d'amore di quelle che non se ne vedono più».  Emilio è stato per decenni un patriarca nel vero senso della parola. La grande famiglia dei Levak lo ha sempre considerato un capo. Ed è stato un importante interlocutore per le istituzioni locali che, da sempre, hanno lavorato per il processo d'integrazione e per rendere stanziali queste famiglie di origine nomade. Racconta il figlio: «Quando c'era una lite tra parenti, venivano da lui e gli chiedevano di risolverla, un po' come se fosse stato un giudice di pace». Levak è nato nella zona delle Grotte di Postumia, da dove la sua famiglia è scappata con i carri quando c'è stata l'invasione nazista. Poi, non distante da Portogruaro, la carovana è stata fermata dai tedeschi e gli uomini e i ragazzini sono stati presi e deportati ad Auschwitz. «I nazisti - racconta lo stesso Mirko in un'intervista filmata di 10 anni fa - lasciarono andare solo le donne e gli anziani. Nel campo di concentramento ho visto delle cose che non auguro nemmeno alle bestie. Ho visto assassinare anche mio padre, gettato in un forno crematorio». Emilio, che nel dopo guerra si è stabilito in via Vallenari, ha visto anche il passaggio dei rom dalle roulotte alle case. «Ne apprezzava le comodità - afferma Loris - ma gli mancava tanto la libertà della vita nomade. I tempi però erano cambiati e quel mondo ormai non c'era più». I rom Kalderash della famiglia Levak si sentono veneti e italiani e nei giorni scorsi, con la benedizione del loro patriarca, hanno inviato soldi agli alluvionati della nostra regione. L'ultimo atto di Emilio il patriarca. Oggi, in mille, lo saluteranno per l'ultima volta.

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