«Maritan voleva uccidere ma il suo passato non c’entra»

Le motivazioni con cui l’Assise d’Appello ha confermato i 14 anni di carcere all’ex boss della mafia del Brenta nel Basso Piave per l’omicidio Lovisetto
Interpress\M.Tagliapietra Venezia 26.03.2018.- Sentenza Maritan.
Interpress\M.Tagliapietra Venezia 26.03.2018.- Sentenza Maritan.



Quel 13 novembre 2016 in piazza Indipendenza, Silvano Maritan «ha colpito la vittima con l’intenzione di uccidere». Ma il delitto, contrariamente a quanto sosteneva la Procura Generale, si pone in discontinuità rispetto alla lunga carriera criminale dell’ex boss della Mafia del Brenta nel Veneto Orientale: «Movente, dinamica e sviluppo» si troverebbero infatti «in una vicenda di carattere personale con il nuovo compagno della sua ex, nei confronti del quale nutriva un risentimento di tipo emotivo e passionale». Così scrivono nelle motivazioni della sentenza appena depositate i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Venezia (presidente Michele Medici, affiancato da Mariagrazia Balletti e da sei giudici popolari) che a febbraio hanno confermato la sentenza di condanna a carico di Silvano Maritan: 14 anni per l’omicidio volontario di Alessandro Lovisetto, ucciso con cinque coltellate, più 4 mesi per aver portato con sé il coltello per uccidere. L’unica modifica alla sentenza fatta dai giudici di secondo grado aveva interessato i risarcimenti disposti per i tre figli di Lovisetto, difesi dall’avvocato Andrea Faraon: 200mila euro di danni per ciascuno (invece del 100mila decisi dal tribunale di Venezia) in base ai valori riconosciuti a livello nazionale per i danni da perdita del rapporto parentale.

A presentare appello erano state tutte le parti: la Procura Generale, la parte civile e la difesa con l’avvocato Giovanni Gentilini. I giudici della Corte d’Assise d’Appello hanno confermato la volontarietà dell’omicidio, escludendo la tesi difensiva che a portare il coltello fosse stato Lovisetto. «Era Maritan a tenere il coltello in mano e ad utilizzarlo per colpire la vittima durante la lite, durante la quale Maritan è sempre stato in posizione d’attacco». A confermare questa ricostruzione, le testimonianze dettagliate di alcuni ragazzi che avevano assistito alla lite e i riscontri tecnici. «Maritan ha colpito la vittima inserendo tutta la lama del coltello (di 9 centimetri, ndr) nel collo di Lovisetto, con modalità tali da passare da sinistra a destra, estraendo l’arma subito dopo con una violenza e una forza che non possono che indicare l’intenzione di uccidere», scrivono i giudici. Anche perché il colpo era stato inferto da distanza molto ravvicinata. Escluse le ipotesi che il ferimento mortale fosse stato accidentale o che Maritan, che i giudici definiscono «uomo di esperienza nello scontro corporale e nell’uso delle armi», una volta persi gli occhiali nella colluttazione, non riuscisse più a distinguere la zona del collo. Nessun seguito nemmeno alle tesi difensive dell’omicidio preterintenzionale o della legittima difesa.

La Procura Generale si era battuta per il riconoscimento della recidiva (pesante in termini di quantificazione della pena) che i giudici di primo grado non avevano applicato a Maritan. Ma la Corte d’Assise d’Appello evidenzia come l’omicidio si ponga «in un rapporto di discontinuità rispetto alla ricca attività delinquenziale di Maritan nell’ambito della Mala del Brenta». I giudici di primo grado avevano ricondotto l’omicidio nell’alveo della violazione di una regola d’onore riconosciuta in ambito criminale: quando Maritan era in carcere, la sua donna aveva intrapreso una relazione con Lovisetto. La Corte d’Assise d’Appello ipotizza invece che la volontà omicidiaria «può essere stata scaturita dalla mera gelosia o dal senso di umiliazione». Lovisetto, più giovane e fisicamente prestante, oltre che eccitato per l’uso della cocaina, durante il litigio aveva spintonato Maritan, facendogli perdere l’equilibrio. L’ex boss era caduto, poi aveva reagito. —



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