«Mamma, se parlo vanno tutti in galera»

La drammatica testimonianza della madre di Bruno Vidali, morto suicida
Il cantiere Nuovo Moschettiere di Bruno Vidali morto suicida in carcere a Tolmezzo
Il cantiere Nuovo Moschettiere di Bruno Vidali morto suicida in carcere a Tolmezzo
 «Mio figlio mi disse: mamma, se parlo non sai quante persone vengono qui con me». «Qui dove?», chiede il pubblico ministero Stefano Ancillotto. «In galera».  Al banco dei testimoni è Valeria Grassetti, la madre di Bruno Vidali, il titolare del cantiere «Il Moschettiere» morto suicida nel carcere di Tolmezzo, dov'era detenuto perché accusato di essere il mandante del tentato omicidio di Maurizio Zennaro (nell'estate del 2008) e di aver armato la mano di Alessandro «Doic» Rizzi, reo confesso e già condannato in appello. Un'udienza drammatica, tra lacrime e tensione, infine aggiornata al 23 giugno.
 Il processo è quello per corruzione, falsa testimonianza e calunnia a Giuseppe Giaciglio, il tossicodipendente compagno di cella di Vidali, che all'improvviso si era autoaccusato di aver consegnato lui la calibro 9 a Rizzi. Dopo le indagini del pm Ancillotto era caduto il palco sulla testimonianza fasulla: la stessa madre di Vidali ha patteggiato 1 anno e 8 mesi, per i contatti intrattenuti con Giaciglio e il padre. «Certo, anche a me erano venuti dubbi su quell'improvvisa confessione», ha ripetuto ieri tra le lacrime, ma dignitosa, in una disperata difesa del figlio, «ma l'avvocato Franchini mi aveva assicurato che si trattava di un testimone "molto credibile e intelligente". Dopo l'udienza, ho detto io a Bruno che non era stato creduto: a quel punto mi ha detto che, sì, non era vero niente. Quel giorno ha chiesto un colloquio con il pm Ancillotto, il giorno dopo ha incontrato i suoi avvocati e ha ritirato la richiesta: il sabato, si è ucciso. Voleva collabroare, ma è stato consigliato male». La donna dice che, sì, il figlio le aveva detto che aveva promesso a Giaciglio 150 mila euro una volta uscito dal carcere: ma per lei, madre, Vidali avrebbe agito solo per disperazione e l'attentato a Zennaro sarebbe stato solo un regolamento di conti con Alessandro Rizzi. Diversa la ricostruzione dell'accusa, ieri, supportata dalla testimonianza di Alessandro Rizzi e del fratello Andrea, che ha confermato di aver assistito alla consegna dell'arma da parte di Vidali. «Mi diede la calibro 9 e mi chiese di ammazzare Zennaro», ha ribadito Alessandro Rizzi, «non mi ha mai detto perché. Per me Zennaro è una pessima persona, mi ha minacciato più volte». Andrea Rizzi ha confermato che al cantiere girava cocaina. Per l'accusa, Vidali voleva Zennaro morto perché lo minacciava di raccontare quel che accadeva nel cantiere e con chi, facendo crollare l'immagine dell'imprenditore con contatti con politici e socio del Golf club Cortina. (r.d.r.)

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