Lega, congresso in Veneto tra veti e veleni: addio candidato unitario

VENEZIA «Sì al rigore, no al regolamento di conti»: Luca Zaia, il governatore leghista votato dal 60% dei veneti, fiuta il clima di piombo e prova a placare gli animi. Tentativo improbo, perché il sisma giudiziario che investe il partito sta infiammando lo scontro tra i seguaci di Bossi e quelli di Maroni: e se i primi sono decisi a scalare i vertici spazzando via la vecchia guardia, quest'ultima promette di vendere cara la pelle. Terreno di scontro privilegiato, il congresso lighista, convocato il 2 e 3 giugno (due giorni di confronto anziché uno, così ha deliberato in serata il consiglio federale di via Bellerio) dopo la lunga fase di congelamento imposta dal Senatur e dal suo proconsole regionale, Gian Paolo Gobbo.
Contestato da più parti e reduce da un tonfo nella roccaforte trevigiana, il segretario uscente mantiene i giochi aperti: «Sulla ricandidatura non ho deciso ancora nulla, non dipende solo da me, comunque la scelta avverrà in tempi brevi», fa sapere. Sul fronte opposto, il sindaco di Verona Flavio Tosi serra le fila e, forte dei risultati conseguiti nei congressi provinciali e del vento favorevole ai Barbari sognanti, “prenota” il timone del Carroccio. Non sarà una passeggiata, però. Perché gli avversari – spalleggiati nell'occasione da alcune figure indipendenti del leghismo veneto come la “triumvira” Manuela Dal Lago, favorevole a una soluzione unitaria che eviti ulteriori lacerazioni – hanno posto a Bobo Maroni un problema politico riassumibile in questi termini: Tosi, protagonista di un'aspra battaglia con il quartier generale di via Bellerio, è un uomo che divide e larga parte della base, pur stimandolo, lo reputa leader di una fazione più che garante dell'unità interno; corollario: serve un candidato di mediazione.
Magari il capogruppo alla Camera, il trevigiano Gianpaolo Dozzo, gradito ai maroniani ma - si dice - poco entusiasta all’idea del nuovo incarico; oppure il deputato e segretario della sezione di Padova Massimo Bitonci, che tuttavia si schermisce («Non mi piacciono le autocandidature, Gobbo ha retto benissimo la segreteria e spero si ripresenti») e, senza nominarlo, rinfaccia al sindaco di Verona l’abbandono dell’indipendentismo padano: «Per come la vedo io, c’è qualcuno che ha baciato un pò troppe volte il Tricolore... ».
Tanto basta a renderlo inviso ai Barbari, che gli oppongono il veto, mentre Tosi ha escluso l’intenzione di compiere passi indietro, ipotizzando anzi il ticket congressuale con Maurizio Conte, assessore regionale e aspirante presidente del partito veneto. Non bastasse, anche le regole congressuali dividono i litigiosissimi leghisti. Inizialmente, prima dello scandalo giudiziario, il consiglio federale aveva concordato un voto plenario, aperto cioè a tutti i «soci militanti». Adesso invece l’orientamento sembra favorevole all’elezione di delegati su base provinciale. La prima soluzione è gradita ai bossiani (che vantano più veterani), l’altra favorirebbe i rivali, vittoriosi in gran parte dei congressi svolti. Si vedrà. Nel frattempo circolano le “liste di proscrizione” e a Padova, ultima federazione chiamata al voto, esplode una violenta polemica.
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