Le nozze e il martirio di Sant’Orsola tornano a splendere all’Accademia

È un grande ritorno per la cultura veneziana e per le Gallerie dell’Accademia quello del monumentale ciclo delle “Storie di Sant’Orsola” di Vittore Carpaccio, in fase di ricollocazione in questi giorni nel museo veneziano, dopo un restauro durato tre anni e finanziato, d’intesa con il Ministero dei Beni Culturali e la Soprintendenza veneziana, il comitato di salvaguardia statunitense “Save Venice”, il più attivo in laguna, che adesso entra nel vivo.
Il grandioso ciclo pittorico che Vittore Carpaccio eseguì tra il 1488 e il 1495 per la Scuola di Sant’Orsola è una delle opere-simbolo delle Gallerie. Per concepirlo, Carpaccio si ispirò alla “Legenda aurea” di Jacopo da Varazze che narrava appunto la storia di Orsola, figlia del cristiano re di Bretagna, mandata in sposa al pagano Etereo a patto che il futuro sposo si convertisse e andasse con la sposa in pellegrinaggio a Roma. Della triste storia d’amore e di morte, Carpaccio dipinse le scene più dinamiche e corali, con l’arrivo degli ambasciatori del re pagano di Inghilterra alla corte del re cristiano di Bretagna per chiedere in mano sua figlia Orsola. E, ancora, le condizioni dettate da Orsola per accettare il matrimonio, gli addii e la partenza per il pellegrinaggio da lei voluto, il sogno in cui la Santa riceve l’annuncio del prossimo martirio, fino agli ultimi teleri del ciclo.
L’incontro con papa Ciriaco a Roma, il ritorno a Colonia occupata dagli Unni, la strage dei pellegrini e i funerali di Orsola e, infine, l’apoteosi della Santa che sovrasta la moltitudine delle martiri. Tutto ciò inserito dall’artista nella straordinaria quotidianità di un mondo di ambientazione veneziana, con le sue logge, i suoi palazzi, le sue banchine, le sue piazze. Il restauro ha restituito la patina originaria all’insieme narrativo eseguito per le pareti della Scuola di Sant’Orsola e successivamente, nel 1812 trasferite nel museo in seguito alla soppressione della Scuola.
Dopo vari allestimenti, la disposizione dei teleri mutò radicalmente nel 1959-60, seguendo il progetto elaborato da Carlo Scarpa mantenendo un assetto espositivo quasi inalterato fino ai giorni nostri. Nel corso della loro lunga vita i teleri non se la sono sempre passata bene. Gli interventi di restauro documentati sono stati infatti numerosi, a partire da quello del 1521, con Carpaccio ancora in vita, e fino ad arrivare all’intervento di Ottorino Nonfarmale, il quale, agli inizi degli anni Ottanta, foderò tutti i dipinti, montandoli su telai lignei ad espansione, e procede poi alla revisione estetica della superficie pittorica.
Con il restauro, i restauratori dell’Iscr (Istituto Superiore conservazione e restauro) hanno scoperto la tecnica rivoluzionaria ideata dall’artista rinascimentale per dare vita a grandi cicli pittorici su tela invece che su tavola o affresco.
Dei nove dipinti del ciclo, il primo a essere restaurato, “L’arrivo a Colonia” è stato l’ultimo a essere realizzato e documenta la maestria cui era in breve tempo pervenuto il pittore. Se il motivo principale del restauro è stato il recupero pittorico dei teleri, alterati dalle vernici usate per la conservazione che, ormai ingiallite, ne avevano offuscato la brillantezza, l’intervento, ha permesso di individuare in che modo il Carpaccio riuscisse per primo a dipingere su tela. Fino ad allora i maestri rinascimentali eseguivano i loro lavori su tavola o a fresco, però in particolare a Venezia la pittura per la troppa umidità non teneva e i risultati finali erano deludenti. Ecco dunque che l’artista riesce a creare un nuovo legante, non più solo costituito da tempera a uovo, bensì mescolata con l’olio e in grado da rendere la materia meno dura, più duttile e quindi resistente ai danni dell’umidità. —
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