Primo maggio tra precarietà e speranza per 10 mila lavoratori della cultura a Venezia
Contratti diversi e spesso temporanei, non arrivano a mille euro al mese. Il sindacato: «Il settore pubblico crea insicurezze»

Difficile contarli, sfuggono alle statistiche ufficiali perché si barcamenano nel Far west di regole e contratti più disparati. La stima dei sindacati supera i 10 mila lavoratori nel mondo della cultura veneziana, dal settore pubblico a quello privato, dai musei alle biblioteche fino ai teatri.
«Si tratta di lavoratori poveri», spiega il segretario della Cgil Venezia, Daniele Giordano, «perché la maggior parte ha entrate che non arrivano nemmeno a 10mila euro l’anno, delle condizioni insostenibili per vivere, a maggior ragione a Venezia. E il paradosso è che spesso sono proprio le grandi istituzioni a creare il precariato» fa notare.
È Giulio a rendere l’idea di cosa significhi lavorare nel mondo della cultura: quando gli si chiede cosa faccia nella vita sorride, per poi rispondere «La mia specialità è fare dieci cose insieme, ora sono guida museale e tutor universitario». La capacità di reinventarsi, la flessibilità e il multitasking sono un imperativo nel settore della cultura, «dove i contratti sono spesso inferiori ai sei mesi e non sai mai dove o cosa farai l’anno dopo».
Trentenne, Giulio ammette che non si aspettava di venire catapultato in un mondo così precario, quando ha scelto di entrare nella cultura. «Sapevo fosse un settore complesso, ma non pensavo tanto. Ad un certo punto sarò costretto a cambiare».
Anna precaria non lo è più, dopo aver superato il concorso è a tutti gli effetti una dipendente delle Gallerie dell’Accademia, dove la carenza di personale ha portato alla chiusura di alcune sale. «Questa situazione si ripercuote anche su di noi, in termini di carichi di lavoro. Serve investire di più e puntare a una miglior valorizzazione del personale».
La carenza di dipendenti porta anche i musei statali a esternalizzare i servizi e, per la Cgil, è inaccettabile. «Non possono essere le stesse istituzioni pubbliche a generare precariato». In questi casi, quello che succede è l’applicazione di due tipologie contrattuali: quello di Federcultura ai dipendenti interni, e quello di multiservizi a chi è in appalto, mentre i sindacati stanno chiedendo da tempo di equiparare le figure, cosa che si tradurrebbe in un incremento dello stipendio del 20% e in maggiori tutele per i lavoratori esterni.
«Una situazione emblematica è quella della Fondazione Musei Civici, con il Comune che costituisce una fondazione privata per gestire la cultura della città per poi subappaltarla» prosegue Giordano, «pensiamo anche alla Biennale, spesso sono le grandi istituzioni a legittimare se non favorire il precariato».
Anna, fresca di laurea magistrale in Mediazione linguistica e culturale a Ca’ Foscari, dal 2022 al 2024 ha proprio lavorato in Biennale. «Ho fatto tre stagioni, con un contratto di part time obbligato e non continuativo», racconta, «certo, quando finisce la Mostra non hai prospettive, ma sono le condizioni migliori in cui mi sono trovata a lavorare». E il futuro? Anna sorride, «boh, è tutto un’incognita». Infatti, la ricerca di un altro lavoro dopo l’esperienza in Biennale è stata complessa, «nessuno offre condizioni migliori e, spesso, la prima domanda che viene fatta riguarda la presenza o meno sul territorio e qui entra in gioco il fattore casa, un problema non indifferente visto che non tutti possono permettersela, soprattutto a Venezia, con questi stipendi» conclude.
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