Latin lover & Co, i nuovi film al cinema in città

Al cinema nel fine settimana? Queste le novità in sala, con le recensioni dei nostri critici Marco Contino e Michele Gottardi.
“LATIN LOVER”
Comencini torna alla commedia e omaggia il cinema dei padri
Dopo "La bestia nel cuore" e "Quando la notte" - due esperienze drammatiche (in tutti i sensi) - Cristina Comencini torna alla commedia, anzi, alla commedia per antonomasia, quella “all'italiana”, omaggiando scopertamente il cinema dei padri (e del padre) e quell'epoca d'oro, prolifica e talentuosa, che, tra gli anni '60 e '70, ha consegnato alla memoria collettiva personaggi e interpreti indimenticabili. Nasce così, in “Latin lover”, l'invenzione dell'attore Saverio Crispo (Francesco Scianna), “summa” dei Gassman, dei Tognazzi, dei Sordi, dei Mastroianni, dei Volonté, e oggetto del desiderio delle sue tante donne (mogli e figlie) che, a dieci anni dalla scomparsa, si ritrovano in Puglia nella vecchia residenza estiva per la celebrazioni dedicate all'attore, tanto brillante quanto disinvolto nelle sue frequentazioni femminili. Una famiglia allargata e internazionale di cui fanno parte la prima moglie Rita (Virna Lisi, nella sua ultima apparizione sul grande schermo) e la seconda consorte spagnola (Marisa Paredes), madri, rispettivamente, di Susanna (Angela Finocchiario) - che vive nel (e del) mito del padre e ama clandestinamente Walter (Neri Marcorè) - e di Segunda (Candela Peña) con tanto di marito farfallone (Jordi Mollà) e figli al seguito. A loro si uniscono altre due figlie nate dalle esperienze di Crispo sui set francesi e svedesi: le nevrotica Stephanie (Valeria Bruni Tedeschi) e l'ingenua Solveig (Pihla Viitala). Un gineceo (destinato ad ampliarsi) in ebollizione che fuma di gelosie, rivendicazioni e segreti (uno, clamoroso) prima di dissolversi in un "redde rationem" tragicomico. Con "Latin lover" Cristina Comencini abbandona lo sguardo letterario-intimista che aveva appesantito i suoi precedenti lavori per imboccare un sentiero più lieve, intimo e nostalgico che, al di là di qualche ruffianeria di troppo, sembra sincero o, quanto meno, non contaminato da sterili ambizioni esistenziali. Facendo reinterpretare al suo Crispo - la cui presenza/assenza è forse l'intuizione migliore del film - alcune sequenze memorabili del cinema italiano - da “Il sorpasso” a “La classe operaia va in paradiso”, da “Brancaleone” a “Divorzio all'italiana” - la regista allestisce una galleria iconica tanto suggestiva quanto utile a sostenere alcune cadute di ritmo di una storia non sempre governata con mano ferma che, nel replicare certe atmosfere alla Almodovar, scivola pericolosamente nel macchiettismo esasperato. “Tutto su mio padre” sembra una crasi efficace per un film che ha in Luigi Comencini il suo nume tutelare e in un cinema che non c’è più il suo inarrivabile modello di riferimento. Durata: 114’. Voto: **½

"VERGINE GIURATA"
Hana diventa Mark, ma poi si riscopre
Hana. Mark. E poi ancora Hana. Storia di nomi e di identità prima conquistate e poi rinnegate. Il film di esordio di Laura Bispuri - Vergine giurata - (unico titolo italiano in concorso all’ultima Berlinale e ora in partenza per il Tribeca Film Festival di New York) sgorga dal “Kanun”, una pratica arcaica diffusa sulle montagne albanesi secondo cui viene riconosciuta alla donna (altrimenti relegata in una condizione di inferiorità) la possibilità di vestirsi e comportarsi come un uomo e, soprattutto, di avere i suoi stessi diritti, a patto di astenersi per tutta la vita da qualsiasi rapporto sessuale. Così Hana (una rigorosissima Alba Rohrwarcher), per sfuggire la suo destino, diventa Mark, anche se, in occasione di un viaggio in Italia, “la vergine giurata” sente di doversi riappropriare della propria identità, cercando le tracce di una femminilità perduta. Il film della Bispuri, ispirato all’omonimo romanzo della scrittrice albanese Elvira Dolores, riflette sulla condizione delle donne ma, più in generale, sulla diversità, non solo di genere, attraverso una storia essenziale e ruvida che, esteticamente, si traduce in un realismo silenzioso e molto fisico che non esplode mai, rimanendo immerso in una sorta di liquido amniotico in cui la protagonista vive, muore e rinasce. Durata: 90’ Voto: ***

"FINO A QUI TUTTO BENE"
Le delusioni della generazione Erasmus
Una dozzina d’anni fa un piccolo film di Cédric Klapish ottenne un grande successo, dipingendo le disavventure di un gruppo di giovani all’estero: era il 2002 e “L’appartamento spagnolo” divenne il simbolo della “generazione Erasmus”. “Fino a qui tutto bene” prende a modello quel film per disegnare invece il distacco da un’età ancora spensierata di un gruppo di studenti universitari, alla fine del loro ciclo di studi a Pisa. Cinque ragazzi e altrettanti prototipi dei nostri giovani, naif e disinibiti, complessati e frustrati, disincantati o sconfitti. E su tutti il ricordo di Michele, morto suicida. Il secondo film di Roan Johnson, dopo “I primi della lista” (2011), sintetizza tutti i luoghi comuni della vita fuori sede, mantenendo qui e là qualche spontaneità narrativa che non basta a portare aria fresca nella produzione media del cinema italiano. Con Paolo Cioni, Isabella Ragonese. Bel montaggio del padovano Davide Vizzini. – Durata: 80’ – Voto: **

“UNA NUOVA AMICA”
Le identità nascoste negli incastri di Ozon
Torna nelle sale François Ozon (“Potiche”, “Giovane e bella”, “Otto donne e un mistero”) con “Una nuova amica”, ispirato a una novella di Ruth Rendell, storia di una giovane donna che cade in depressione dopo la morte dell’amica del cuore. Decisa a uscirne prendendosi carico della bimba appena nata e del marito, Claire (Anaïs Demoustier) scopre che David (Romain Duris) reagisce alla scomparsa della moglie dando sfogo a un travestitismo che non vuol colmare solo l’assenza della figura materna. Una scoperta molto intrigante che se da una parte la incuriosisce - inizia a uscire con “Virginia” - scatenando pulsioni inaspettate, dall'altro le sfugge di mano, in un incastro di doppie identità nascoste, sempre in bilico tra commedia e tragedia come spesso accade nel cinema di Ozon. Il disvelarsi progressivo della sensibilità femminile di David scatena infatti in Claire la strana idea di un'altra vita, in cui Virginia è insieme l’amica defunta e un nuovo amante. Abile nel descrivere le atmosfere surreali, raccontandole con toni grotteschi, Ozon svolge la prima parte del film in modo magistrale, appesantendosi nell'ultima mezz'ora come il trucco di David, sempre più eccessivo. Resta la brillantezza di un racconto riuscito sui temi di trasgender e matrimoni non propriamente etero, addolcito in un finale neo-familiare. Durata: 107' - Voto: ***1/2
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