La zia di Mahtab «Non è stata uccisa per motivi di soldi»

Mojgan Ilanlou in città per seguire gli sviluppi delle indagini «La mamma pensa che sia in coma, ma gli diremo la verità»
Di Vera Mantengoli

Perché la giovane iraniana Mahtab Savoji è stata uccisa? La domanda non ha ancora una risposta, ma tormenta in ogni momento la zia della ragazza, Mojgan Ilanlou, arrivata da qualche giorno in Italia per seguire le indagini, assistita dal presidente della comunità iraniana di Venezia, Reza Rashidy. La ragazza è stata uccisa nel pomeriggio di lunedì 27, nascosta in un trolley, trasportata in treno da Milano e gettata la stessa notte in un canale del Lido. Ieri mattina la documentarista Ilanlou ha incontrato la stampa nella Biblioteca di Mestre per difendere l’onore della ragazza da chi ha detto che era coinvolta in giochi erotici e dalle infamanti bugie dei presunti assassini, gli indiani Singh Rajeshwar e Kaur Gagandeep. La zia «supplica» le istituzioni di riportare presto indietro la salma e si augura che la giustizia italiana non impieghi anni per porre fine alle indagini e capire il movente dell’efferato delitto. I due sono ora in carcere per omicidio volontario con l’aggravante di futili motivi e occultamento di cadavere. «Più che sapere chi l’ha uccisa – ha detto – vorrei sapere perché lo hanno fatto. Mahtab era un’intellettuale che sapeva tutto di cinema, una donna mite e molto prudente. Il dolore è incolmabile e a questo si aggiunge il ritardo per la consegna del suo corpo che stride con le nostre abitudini religiose». «A marzo Mahatb sarebbe entrata nella casa dello studente – ha detto Ilanlou mentre qualche lacrima le scendeva sul viso – ma da ottobre aveva lasciato la casa con le inquiline iraniane per migliorare la lingua. Siccome amava la cultura indiana, quando ha visto l’inserzione di Gagandeep ha risposto subito entusiasta, ma dopo poco abbiamo capito che qualcosa non andava». Gli screzi sono dovuti al fatto che il fidanzato dell’indiana spesso andava a dormire nella stanza che Mahtab ha pagato per condividere con la donna «e non con la coppia». Per aiutarla a cambiare casa la famiglia iraniana le invia dei soldi che, per problemi di embargo, arrivano tardi, proprio il lunedì della morte. Ilanlou smentisce quindi che l’avrebbero uccisa per prenderle i soldi. «Le ultime parole di domenica sera sono state che aveva preparato le ultime cose e che avrebbe traslocato il giorno dopo». Quel lunedì il cellulare di Mahtab è sempre spento. Passano le ore, la banca comunica che non ha ritirato i soldi. Nessuno riesce a trovarla. La zia si preoccupa e chiede alle amiche di denunciarne la scomparsa, ma per legge lo può fare solo un familiare o chi vive con la persona. «Quando ho chiamato Gagandeep – ricorda – ho sentito una freddezza che mi ha colpito al punto che ho chiesto alle amiche di seguirla dalla polizia. Qui lei ha detto che Mahtab rimaneva quasi sempre a dormire dal suo ragazzo, ma le sue amiche hanno ribattuto che non era vero perché non lo aveva». L’indiana ha detto loro di non impicciarsi e alla zia, che la ragazza aveva chiuso l’armadio con un lucchetto e non si poteva aprire. Il fidanzato minaccia qualsiasi persona voglia entrare nella stanza. I dubbi sull'inquilina aumentano e il resto è cronaca nota. Per la zia i due hanno avuto il tempo necessario per occultare le prove. «Mi sento male perché l’ho spinta io a venire in Italia – ha detto – ma ora sono qui a difenderla dalle maldicenze e dire a tutti che era una vera intellettuale. Chiamava sempre la famiglia e la mamma la crede ancora in coma. Non riesco ora a pensare al perdono. Vorrei sapere come una cameriera possa prendersi uno dei migliori avvocati di Milano. Il mio cuore dice che l’omicidio è stato premeditato. Chi compie un delitto così a sangue freddo è un assassino professionista».

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