«La prima volta di Hirst a Venezia nella mia piccola galleria»

VENEZIA. Sono i giorni dell’iperbolica, esagerata, mitologica mostra di Damien Hirst alla Fondazione Pinault: ma la prima volta dell’artista-spettacolo-scandalo a Venezia, l’ha organizzata lei, la veneziana Michela Rizzo, insieme allo storico gallerista londinese dell’artista, Paul Stolper. Era il 2007, quando tutti nel mondo conoscevano Hirst, se non altro per le sue mucche tagliate a metà e messe in formaldeide: a Venezia sbarcò con un enorme trittico per la sua “New religion”. Anche la seconda mostra di Hirst in laguna porta il nome della gallerista veneziana: “Death in Venice” nel 2010, il periodo dei teschi declinati in ogni modo, anche tempestati di diamanti. In quelle due esposizioni che scossero Venezia con il mondo visionario dell’artista inglese - prima dell’irrompere di questi giorni di demoni e dei giganteschi in Punta della Dogana e Palazzo Grassi - c’è la firma, la determinazione, la passione per l’arte e la chioma bionda di questa gallerista veneziana.
Nel 2007 la Galleria Michela Rizzo era giovane e “mignon”: come è nato l’incontro con il “mostro” Hirst?
«Lui era una star internazionale, io avevo la mia piccola galleria in calle degli Albanesi da un paio d’anni, ma già con contatti con i Musei civici e Thetis per trovare spazi più grandi per gli artisti, perché mi sentivo stretta», racconta Michela Rizzo, famiglia di imprenditori del pane e dei dolci, che 13 anni fa ha deciso di seguire la sua passione per l’arte contemporanea, «quando Stolter si mosse per Venezia, si mise in contatto con Valerio Dehò, che mi conosceva. Erano i giorni della Biennale, ho proposto palazzo Papafava e mi sono offerta di partecipare alle spese. Non volevo essere solo un’organizzatrice: volevo esserci. Fu un’intuizione. È stata la svolta, il nome della Galleria Michela Rizzo accanto a quella di Paul Stolper per Damien Hirst, per New Religion. Poi ancora nel 2010, a Palazzo Palumbo, tra teschi e collage».
Un bel colpo per una giovane gallerista.
«Fu la svolta. Grazie a quella prima mostra sono riuscita a passare dalla mia prima galleria di 27 metri quadrati in calle degli Albanesi ai 300 metri quadri di palazzo Papafava, anche se la mia percentuale era minima: giravo come una trottola con la list price delle opere, perché chiamava tutto il mondo per acquistare», ricorda Michela, in viaggio verso Milano per l’ennesimo contatto, «vendemmo molto, anche un’opera per 450 mila sterline».
Un artista-scandalo dai grandi ammiratori, ma anche molti critici, per le sue provocazioni e gli eccessi un po’ “ruffiani”: che tipo è?
«Io l’ho conosciuto in Punta della Dogana l’altro giorno, perché all’epoca realizzò opere per Venezia, ma non venne: Hirst sovverte tutte le regole ogni volta che si esprime attraverso l'arte. Lui ti porta in una dimensione altra, leggendaria, avventurosa, fantastica: io lo trovo meraviglioso».
Dopo quella prima volta di Hirst a Venezia, il trasferimento a Palazzo Papafava della galleria Rizzo, tra giovani artisti da lanciare e grandi nomi, come Roman Opalka, Fabio Mauri, Franco Vaccari, Francesco jodice, Gabriele Basilico, Richard Nonas tra tanti. Ora la galleria si è trasferita all’ex area-Dreher alla Giudecca, un polo dell’arte in una ex fabbrica di birra.
Promuovere gli artisti e vendere l’arte a Venezia è un mestiere difficile?
«Molto complesso: è vero che il mondo viene a Venezia, ma non a comprare. Si è sempre in viaggio. Un lavoro difficile, di sacrifici, ma mai noioso, sempre stimolante e interessante: siamo nel mondo delle idee, è un privilegio».
Il prossimo appuntamento è con un artista “camminatore”
«Sì, in galleria torna Hamish Fulton, grande artista inglese, la cui arte è l'esperienza del cammino: girato a piedi in tutto mondo. Per noi ha da Bocca di Magra, in Liguria, a Venezia, realizzando foto, wallpainting e sculture. Inauguriamo il 10 maggio, in coincidenza con la Biennale d’arte. Con la direttrice Gabriella Belli e Daniela Ferretti dei Musei civici, nel 2010 nel cortile di palazzo Ducale organizzammo una sua performance - "Ripetitive walk" passata anche per il Centre Pompidou di Parigi e la Tate Gallery di Londra - con 200 persone da tutto il mondo».
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia