Iva evasa con le auto di lusso 12 indagati per una maxi frode

Importavano dalla Germania, attraverso le loro autorivendite, macchine di lusso e poi le immatricolavano in Italia con false fatture e autocertificazioni presentate alla Motorizzazione Civile a nome degli acquirenti finali, che risultavano aver acquistato in prima persona, come privati, i veicoli. Con questo sistema avrebbero evaso l’Iva sulle transazioni, ricavandole successivamente e traendone un ulteriore ingiusto profitto, sulle fatture di vendita che venivano consegnate in mano agli acquirenti finali.
In questo modo, i guadagni erano ancor più elevati. Sono 12 le persone coinvolte nell’operazione della polizia Stradale denominata “Jackpot” riguardante una maxi frode sull’Iva nel settore delle auto di lusso.
Nel mirino sono finiti studi di pratiche e autorivendite che, secondo la polizia Stradale, facevano perno su due commercianti di veicoli: il veneziano Maurizio Campagnaro, 56 anni, e una rumena, Eugenia Craciu, 43anni. Tra gli indagati anche un moglianese, noto nel mondo del commercio degli autoveicoli, e un titolare di un’agenzia di pratiche molto conosciuto.
L’indagine si inserisce nel diffuso fenomeno delle “frodi carosello”, con lo scopo di evadere l’Iva e permettere ai responsabili di immettere sul mercato nazionale veicoli di lusso a prezzi particolarmente concorrenziali. Secondo un approssimativo calcolo degli investigatori, con questo motodo gli indagati avrebbero importato circa 60 auto di lusso come Porsche, Maserati, Jaguar, Mercedes Bmw, Audi e Alfa Romeo per un valore di due milioni di euro.
«Questo tipo di reato - spiegano gli investigatori che hanno effettuato perquisizioni e sequestri a carico dei 12 indagati - sembra facilmente attuabile in una provincia come Treviso in cui vengono importate e nazionalizzate oltre 6.000 auto all’anno. Nel corso degli ultimi anni, la Marca ha visto nel mondo del commercio dei veicoli una sempre più crescente tendenza a rivolgersi al mercato estero per l’approvvigionamento di autovetture principalmente di alta gamma per la convenienza di quest’operazione».
I motivi vanno ricercati nel prezzo di acquisto, spesso inferiore a quello italiano, a parità di allestimenti, un regime fiscale spesso molto più conveniente per le auto aziendali, costi di manutenzione che, dopo i primi anni, all’estero salgono molto più che in Italia, con il risultato che è più conveniente rivendere il veicolo dopo breve tempo e prima che lo stesso si svaluti troppo.
«Di fatto - proseguono gli investigatori - il commerciante italiano che fa derivare i suoi profitti dalla compravendita di veicoli provenienti da altri Paesi europei, tende a crearsi una rete capillare di broker oltre confine per accaparrarsi i veicoli migliori al costo più basso per poi rivenderli in Italia. Nella maggior parte dei casi, i veicoli esteri vengono acquistati in stock oppure da un unico fornitore di fiducia che procura al commerciante italiano il veicolo scelto dall’acquirente privato al più basso costo, ottenendo un margine di guadagno maggiore rispetto al mercato interno». —
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia