Investigatore privato pagato 60 mila euro denunciato per truffa

Il manager Roberto Pravatà ha portato in tribunale lo 007 accusandolo di non aver effettuato gli accertamenti richiesti

Ancora in un’aula di Tribunale Roberto Pravatà, l’ex vicedirettore del Consorzio Venezia Nuova, finito sul banco degli imputati in laguna dopo che la sua ex lo ha denunciato per atti persecutori. Questa volta però – l’udienza è fissata per il 2 novembre davanti al giudice monocratico del Tribunale di Treviso - è dalla parte giusta, quella di chi denuncia un illecito, un presunto reato.

Accusato di truffa è un noto investigatore privato della Marca trevigiana che ha lavorato a lungo per Pravatà, il quale gli avrebbe pagato un conto salato: ben 60 mila euro. L’ex manager, ora a riposo, sostiene che l’imputato lo avrebbe raggirato, non avrebbe assolutamente avviato gli accertamenti che lui gli aveva chiesto e gli avrebbe spillato quella cifra, affermando di aver sostenuto spese e di aver lavorato ore per suo conto. L’investigatore privato si difende sostenendo di aver compiuto tutti i controlli e gli accertamenti che il cliente, molto esigente, gli aveva chiesto, tanto che alla presentazione delle fatture Pravatà aveva pagato senza fiatare. Solo alla fine del loro rapporto aveva protestato, contestando i conti «perché le indagini che l’agenzia di investigazioni aveva svolto non andavano nella direzione da lui auspicata». Alcuni degli accertamenti svolti dallo 007 trevigiano riguardavano anche Lucrezia Bottan, l’ex compagna del manager che nella sua denuncia per stalking ha ricostruito anche i pedinamenti che aveva subìto. La maggior parte del lavoro dell’investigatore era rivolto a donne che il cliente frequentava: in più di un’occasione, ad esempio, Pravatà gli aveva chiesto di recuperare regali costosi che aveva offerto ad amiche con le quali era stato in intimità. L’imputato di truffa sostiene di avere con sè i documenti per dimostrarlo e mercoledì 2 novembre il difensore dell’imputato chiederà conto a Pravatà, che siederà sulla sedia dei testimoni e che, dunque, è costretto a dire la verità, pena un’accusa di falsa testimonianza. Naturalmente, il manager racconterà la sua verità, quella che ha già portato al processo che vede l’investigatore accusato di truffa.

Poco più di un mese fa, comunque, nel processo di Venezia che lo vede sul banco degli imputati ha resto una testimonianza piuttosto dura la sua ex governante. «Mi ha detto più volte che gli sarebbe piaciuto aprirla da qui (indicando la pancia, ndr) in su, facendola morire lentamente e facendole vedere i suoi organi interni che uscivano».

È stato un passaggio delle sue dichiarazioni. Lui deve rispondere di aver fatto seguire dall’investigatore Lucrezia Bottan, di averla riempita di messaggi e telefonate ad ogni ora del giorno e della notte, di aver minacciato lei e la figlia, tanto che quest’ultima - nel corso di un'udienza - aveva ricordato: «Era il febbraio di tre anni fa, io ero andata a casa sua, a Treviso, dopo essere stata dal dentista, lui ha tirato fuori una delle sue pistole, l'ha impugnata e ha detto che avrebbe ucciso mia madre». La governante aveva riferito di aver lavorato per 15 mesi in casa Pravatà in nero, facendogli da "tuttofare", da colf e da segretaria. La donna aveva ricordato che l'imputato beveva molto, assumeva antidepressivi e era ossessionato dalla fine della relazione con la signora Bottan, che per altro era stato lui a lasciare via raccomandata. La governante ha anche rammentando come un giorno lui le avesse fatto scrivere sotto dettatura una lettera di minacce, facendole indossare dei guanti per non lasciare impronte. In casa, tra l’altro aveva numerose armi denunciate perchè era un collezionista.

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