Investì in diamanti “gonfiati”, la sentenza a Venezia: sarà risarcita dal Banco Bpm

La donna aveva acquistato pietre per 40 mila euro dalla Idb Spa, poi fallita. II Tribunale di Venezia ha condannato la filiale mestrina a restituirle 34 mila euro

MESTRE. Un investimento, sicuro, pensava: un diamante è per sempre, tanto più che era stata la sua banca a proporle di investire nelle pietre preziose offerte dall’Intermarket Diamond Business Spa. Così, nel 2015, una signora di Mestre aveva acquistato diamanti per 40 mila euro di valore.

O almeno così credeva. Perché nel 2019 è scoppiata l’inchiesta “Crazy diamonts” sui diamanti dal valore gonfiato venduti dalla società alle banche, l’Idb Spa è fallita e la signora (come migliaia di investitori) si è ritrovata con un gruzzoletto di pietre del valore di poche migliaia di euro.

Il giudice del Tribunale civile di Venezia, Antonio Salerno, ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato Alessandro Filippi e condannato la filiale mestrina del Banco Bpm a restituire alla cliente 34 mila euro, pari alla differenza tra il valore promesso all’acquisto e quello reale delle pietre.

«La pronuncia è molto importante in quanto è la prima del Tribunale di Venezia in materia di diamanti da investimento», commenta l’avvocato Filippi, «e ha riconosciuto la responsabilità della Banca, che nel proporre i diamanti alla cliente non l’ha adeguatamente informata del vero valore della pietra che veniva offerta a un prezzo di 3 o 4 volte superiore al valore reale e dei rischi dell'investimento.

Il fatto che l’investimento fosse proposto dal personale bancario, forniva ampia credibilità alle informazioni contenute nel materiale promozionale di Idb, così da determinare la cliente all'acquisto proprio in base alla fiducia che esso aveva dell'istituto di credito».

In corso di causa, la banca si è difesa dicendo di non aver fatto alcuna promozione per l’investimento, ma di essersi limitata a fare da mediatore tra l’Idb e la cliente, che voleva diversificare i propri investimenti.

Ma per il giudice, l’istituto era legato alla cliente dalla «cosiddetta responsabilità per contatto sociale qualificato (...) con specifici doveri di comportamento, ossia collaborazione e protezione» e «avrebbe dovuto fornire una corretta informazione sulla convenienza dell’investimento: se la ricorrente l’avesse ricevuta, non avrebbe certamente acquistato i diamanti da Idb.

A rafforzare la responsabilità di Banco Bpm vi è anche il fatto che percepiva una corposa provvigione dai contratti di compravendita di diamanti, pari al 18%. È evidente, che l'entità di quella commissione non poteva giustificarsi se non implicando un’attività propositiva dell'acquisto dei diamanti da parte dell'istituto di credito». Così è la perizia del gemmologo prodotta dall’avvocato Filippi, a diventare il riferimento per il risarcimento, pari «alla differenza tra il prezzo di acquisto e il reale valore delle pietre». Bmp aveva proposto una transazione da 23 mila euro. Ora dovrà restituirne 34 mila, più spese legali. Potrà presentare appello.—



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