Operai morti nella fossa biologica, una preghiera prima dell’autopsia a “rischio veleni”
La famiglia aveva chiesto un momento di raccoglimento prima dell’esame, ma non è stato possibile. Alla fine è stato il medico legale, musulmano, a recitare un’invocazione per i due giovani immigrati

Sono ore di attesa, per conoscere gli esiti delle autopsie “blindate” eseguite sui corpi dei due operai egiziani, rifugiati in Italia cercando un futuro migliore e che, invece, hanno trovato la morte respirando i miasmi velenosi nei pozzetti fognari che avrebbero dovuto ripulire a Santa Maria di Sala. Lavorando in nero, come ha appurato sinora la Procura.
Autopsie eseguite con il massimo dell’attenzione e precauzioni, tanto che i medico legali hanno dovuto operare bardati in tute anti-contaminazione e indossando maschere protettive, proprio perché i due uomini - prima di morire - potrebbero aver ingerito sostanze ancora velenose: la dottoressa Giorgia Franchetti, nominata dal pubblico ministero Giovanni Gasparini ha così eseguito l’autopsia, alla presenza del collega medico legale Rafi El Mazloum, nominato dall’avvocata Marzia Miozzo, legale delle famiglie.
Il 12 agosto si è svolta l’autopsia sul corpo del 39enne Sayed Abdelwahab Hamad Mahmoud, il 13 quella del 21enne Ziad Saed Abdou Mustava, che su quella vasca velenosa si è sporto quando si è accorto che l’amico stava male.
C’è stato un momento molto intimo, molto particolare, prima di dare il via alla ricerca scientifica: i familiari di Sayed avevano chiesto di poter recitare una preghiera prima dell’inizio dell’esame autoptico, ma proprio il rischio che i corpi siano velenosi, lo ha impedito. Così è stato lo stesso medico legale Rafi El Mazolum - musulmano a sua volta - a recitarla.
L’autopsia è una atto dovuto e dovrà chiarire se i due uomini siano morti avvelenati dai miasmi fognari o annegati: ai fini dell’indagine aperta per omicidio colposo, in realtà, non cambia l’esito, ma serve a completare il quadro.
Non hanno nominato propri consulenti gli avvocati dei due indagati: il titolare della ditta Paolo Traslochi e Trasporti, Paun Voinea (difeso dall’avvocato Matteo Garbisi), di origini rumene; e Andrea Pivetta, al vertice della cooperativa sociale servizi associati (Cssa) proprietaria dell’immobile in via Desman, che aveva venduto a una signora moldava, che aveva imposto il vincolo di consegnare la grande villa con parco libera dai mobili e, soprattutto, ripulita proprio dai residui fognari. A difendere Pivetta l’avvocato Francesco Schioppa.
L’accusa nei loro confronti è di omicidio colposo plurimo, aggravato dalla violazione delle norme sul lavoro, dal momento che secondo la Procura i due operai erano impegnati da giorni nelle attività di sgombero, senza contratto, pur in possesso del permesso di lavoro in quanto rifugiati. Al momento l’iscrizione al registro degli indagati è un atto dovuto, in attesa che le indagini chiariscano chi ha contattato per il lavoro i due compagni egiziani, che erano ospiti della coop Un Mondo di Gioia, che per due anni aveva affittato la villa per farne un centro per rifugiati, prima di trasferirsi a Mirano.
Intanto, le famiglie attendono con ansia il nulla osta al rimpatrio delle salme, per poter fare il funerale: il consolato egiziano si sta molto adoperando. Anche grazie all’intervento di Sameh Salama (che è anche consulente tecnico del Tribunale di Venezia) che si è attivato privatamente per aiutarle, organizzando il volo da Milano verso l’Egitto, dove la tragedia ha avuto molto risalto sulla stampa.
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