Il Proto di San Marco nell’ “Inferno” di Brown

VENEZIA. Robert Langdon deve salvare il mondo dal genialoide narcisista di turno che, ossessionato dai gironi danteschi, vuole (letteralmente) appestare l’umanità e liberare così la terra da due-tre miliardi di esseri umani di troppo, succhia-risorse: e Venezia - con i suoi monumenti, ma anche le sue navi da crociera - ci mette lo zampino a scompaginarne i piani.
È la Divina Commedia in chiave apocalittica di “Inferno”, ultimo intrigo firmato Dan Brown: 24 ore senza mai chiudere occhio tra Firenze, Venezia e Istanbul, che già ci si immagina film. A consegnare a pagina 371 al fascinoso docente di simbologia religiosa a Harvard la chiave per capire dove il cattivo di turno abbia nascosto la sua bomba biologica, entra in scena «. Ettore Vio, un uomo dai capelli bianchi e dall’aria gioviale. In abito blu e occhiali appesi a una catenella intorno al collo, si apriva la strada tra la calca». Siamo in Basilica di San Marco, davanti alla teca con i cavalli originali del IV secolo della celebre quadriga che domina la Piazza (in copia) dalla facciata, custoditi in quel museo del quale Ettore Vio è il responsabile. La curiosità? Che Ettore Vio esiste, in carne, ossa e capelli bianchi, architetto responsabile della Basilica e del Campanile, proto della Procuratoria di San Marco: nel romanzo, aiuta Langdon ad interpretare il verso con il quale il genio sterminatore ha criptato il luogo dove ha nascosto la sua micidiale peste del XXI secolo: «Cercate indi lo doge ’ngannator che a lì cavalli il capo fece mozzo e di chi più non vedea l’osso cavò».
«Non ne sapevo nulla, mi ha avvertito un amico di mio figlio che stava leggendo il libro: sono rimasto stupito, perché Dan Brown l’ho visto solo un paio d’ore nell’autunno del 2011, ma non posso dire che non mi abbia fatto piacere», se la ride al cellulare Ettore Vio, «quella volta la Prefettura mi chiamò per chiedermi di ricevere in visita in Basilica un’autorità: quando me l’hanno presentato, non sapevo chi fosse. Non ho mai letto il “Codice da Vinci”. Un uomo molto serio, attento, gentile: lui e il suo staff sono stati quasi due ore, attraverso la Basilica, la cripta, il museo. Abbiamo parlato dei cavalli, certo, ma non di Enrico Dandolo». Svelato un piccolo mistero: “il doge ’ngannator” è lui, che morì quasi centenario nel 1205, cieco, dopo aver scatenato la IV crociata e strappato le ossa di Santa Lucia a Costantinopoli. E i cavalli decapitati? «Non fu lui a ordinarne il taglio, una licenza romanzesca: li costruivano così, a pezzi, perché la tecnologia di allora non permetteva altrimenti. Abbiamo trovato anche una saldatura sulle pance».
E come ha trovato le pagine sulla “sua” Basilica? «Non male, devo ammettere, ricostruzione attenta e fedele, anche se non esiste la scala a chiocciola descritta nel libro e dalla cripta non si può scappare in Piazza attraverso delle finestrelle: sono fessure di aerazione e guardano il Ducale».
Nella sua segreta visita veneziana, Dan Brown - con consorte musa-correttrice di bozze e cinque persone di staff - ha visitato anche Palazzo Ducale e la Biblioteca Marciana. «Ci parlarono di una visita “rigorosamente privata”», racconta Annalisa Bruni, Relazioni esterne della Marciana, «ci hanno chiesto di vedere come funzionava la biblioteca, l’archivio: gli abbiamo mostrato il nostro famosissimo Codice dantesco, un manoscritto della Divina Commedia del 1300. Si è dimostrato molto attento, ma mi ha stupito non prendesse appunti: altri lo facevano per lui».
E in “Inferno” Venezia c’è tutta, con una certa ansia per la città che par «sprofondare sotto il peso dei suoi ammiratori» e l’angoscia per il traffico, con qualche esagerazione hollywoodiana, come far passare anche le petroliere davanti a San Marco. Uno spot per il Comitato No Grandi Navi: «Anche Sienna sembrava intimorita mentre guardava la torreggiante nave da crociera di dieci piani che stava passando davanti a loro, a una distanza di soli 300 metri». E l’immagine dantesca: «Nella scia ribollente di questa nave, altre tre aspettavano in fila il loro turno per passare davanti al più noto panorama veneziano. Langdon aveva sentito dire che in anni recenti il numero delle navi si era moltiplicato così in fretta che ormai la fila si snodava ininterrotta giorno e notte».
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