Idea nata da un fiore, appassita nelle polemiche

Per alcuni è stato un sogno, per altri un incubo: oggi immaginare il Palais Lumière all’orizzonte dell’area industriale della città appare ai primi come un miraggio, ai secondi come una terribile allucinazione.
Lo stilista Pierre Cardin pensò al grattacielo dopo aver visto tre calle legate da un nastro adagiate in un vaso. Lo stilista schizzò un disegno e il nipote Rodrigo Basilicati gli diede struttura. Poi lo studio Altieri realizzò il progetto preliminare, presentato a Comune e Regione in vista della firma dell’accordo di programma, la scorciatoia amministrativa individuata per accelerare i tempi. «Se tutto va bene al grezzo potrebbe essere pronto entro maggio del 2015», diceva Basilicati, mentre Comune - dove già però c’era qualche scettico - e Regione stendevano tappeti rossi. «Sarà la nostra torre Eiffel», diceva il governatore Luca Zaia, mentre tra gli intellettuali, guidati da Salvatore Settis, partiva la mobilitazione per fermare l’opera. «Un’infame porcata», per l’architetto Vittorio Gregotti.
A Marghera però, dove era nato un comitato a sostegno del progetto, in molti coltivavano la speranza che il progetto potesse rappresentare un punto di svolta per il recupero dell’area post-industriale, di cui ancora oggi non è per nulla chiaro il destino. Il progetto del Palais consisteva in una torre alta 250 metri, un auditorium per 7mila persone, dieci cinema, 4mila posti auto e l’apertura di un’università internazionale della moda. E poi uffici e appartamenti di lusso. «Era impossibile non capire che quel progetto non poteva stare in piedi», dice l’urbanista Stefano Boato, docente allo Iuav, che sul caso del Palais ha scritto il libello “Giù dalla torre”, (Corte del Fontego). «Un progetto fuori della grazia di Dio, senza nessuna solidità sul piano urbanistico e architettonico. E che nonostante tutte le forzature fatte e i vincoli by-passati non è andato avanti perché non c’erano i soldi».
I più maliziosi sostengono che sia stata tutta un’operazione di marketing ma Cardin ha spiegato, vista la sua carriera, di non averne certo bisogno. Dal punto di vista procedurale sono stati due gli ostacoli principali: il primo riguardava l’altezza (a causa della vicinanza dell’aeroporto Marco Polo) poi superato con una deroga dell’Enac; il secondo il vincolo ambientale sull’area di Marghera a ridosso della Fincantieri contro il quale Comune e Regione avevano però iniziato la battaglia contro il Ministero dei Beni culturali.
Cardin aveva opzionato i terreni necessari e aveva detto di essere pronto ad acquistare altri terreni comunali necessari per l’opera. Il 28 giugno Basilicati, nel dare notizia che la torre non si sarebbe più fatta, disse alla sede Ansa di Parigi: «La scelta si è resa inevitabile dopo che, a oltre due anni e mezzo dalla presentazione dell'iniziativa, non è stato possibile concludere la procedura con l'approvazione formale di un accordo con tutte le amministrazioni pubbliche coinvolte».
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