«I ragazzi di oggi hanno tutto ma in realtà sono soli e fragili»

chioggia. Il video dice molto. Mancano semmai lo sgomento e gli interrogativi che immagini così choccanti si portano dietro. «Evidentemente quei giovani non si rendono conto delle conseguenze delle loro azioni, sia a breve che a lungo termine».
Vincenzo Calvo, professore di Psicodinamica delle relazioni familiari e di Psicopatologia alla Scuola di Psicologia dell’Università di Padova, cerca risposte e mette sotto accusa il sistema educativo tra vuoto emotivo, cattivo utilizzo della tecnologia e solitudine adolescenziale.
Professore, c’è una spiegazione per quanto successo? Può c’entrare il branco?
«L’adolescente, il maschio, in particolare, quando inizia a fare esperienze con i coetanei si sente più forte, trova un’identità con i compagni e fa cose che da solo non farebbe: il branco diventa un motore importante di comportamenti devianti, che il singolo non riconosce come propri».
C’è una correlazione con il mondo virtuale?
«Secondo me sì. Ora determinati episodi hanno più visibilità rispetto a un tempo, ma sono convinto che la “realtà costruita” stia enfatizzando certi fenomeni, portando la vita dei giovani da un piano reale e concerto di relazioni e contatti a un piano virtuale. I ragazzi trascorrono molto tempo tra social network, serie tv e videogame, dove le emozioni sono sperimentate su un piano artificiale e artificioso. Lì, le loro azioni non hanno conseguenze e il confine tra reale e virtuale è estremamente labile. Da un punto di vista educativo, è deleterio».
In questo si può inserire l’assenza della famiglia?
«Sicuramente. I genitori sono iper protettivi con i bambini, ma estremamente carenti quando i figli crescono e hanno bisogno di essere accompagnati nell’età adulta. Spesso vediamo mamme e papà lasciare i figli ai nonni, che si sostituiscono ai genitori. È paradossale: sono ragazzi che hanno tutto, ma vengono lasciati soli».
Che ruolo dovrebbe ricoprire la scuola?
«Insieme alla famiglia e insieme alle esperienze, dovrebbe dare i limiti. Ma non ci riesce più: non per sua colpa, ma per come sta funzionando la società. C’è il timore di bocciare il ragazzo e di dire “no” quando è necessario».
In che maniera influisce, invece, la società?
«Ho la sensazione che questi ragazzi sperimentino un vuoto emotivo, di noia, assenza e depressione, e abbiano bisogno di riempirlo con qualcosa anche se deleterio e deprecabile».
Di che vuoto sta parlando?
«Di mancanza di identità. Costruiamo vite in cui abbiamo tantissime cose, ma poche di queste sono umanamente pregnanti. E quindi abbiamo la sensazione di una carenza di identità: manca qualcosa di vero, vitale, umano e importante». —
Laura Berlinghieri
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