I cimeli del Grande Torino e l’epopea dei Ballarin Il museo è diventato realtà

CHIOGGIA
Prima era solo virtuale, ora il sogno di vedere finalmente un vero museo, fisico, dedicato ai fratelli Aldo e Dino Ballarin, periti assieme nel tragico incidente aereo di Superga che annientò l'intera squadra del Grande Torino, è finalmente realtà.
Lo hanno voluto con tenacia Nicoletta Perini, Davide Bovolenta e Aldo Cappon ed ora quella tenacia è stata premiata. Quella del museo della laguna sud, in realtà, non è la sede definitiva, perché una volta terminato il restauro, l'esposizione passerà in via definitivo a palazzo Ravagnan, sempre a Chioggia, qualche decina di metri più in là. Tra i cimeli esposti al primo piano del museo si respira a pieni polmoni la storia, la leggenda di quella squadra imbattibile che era stata l'orgoglio della rinascita italiana dalle macerie della guerra. Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola: quasi una litania che tutti, a quei tempi, conoscevano a memoria.
Era il Torino degli invincibili, costruito dal presidente Novo, che pescò i migliori tra le squadre italiane, in particolare dal Veneto. Il vicentino Romeo Menti, dal Venezia Ezio Loik, nato a Fiume quando era ancora Italia e Valentino Mazzola, quindi il triestino Ezio Grezar e i chioggiotti Aldo e Dino Ballarin, cui è dedicata l'esposizione. Entrando nel salone che ospita i cimeli del Grande Torino, sapientemente raccolti dai nipoti, sembra di tornare indietro nel tempo: le maglie della Nazionale, indossata 9 volte da Aldo Ballarin, presente nella sfida contro l'Austria, del 9 novembre 1947, quando Pozzo mise in campo dieci giocatori su undici (unico intruso il portiere della Juventus Sentimenti IV) appartenenti al Torino; le maglie granata con lo scudetto tricolore; e ancora palloni, scarpette bullonate, valigie dell'epoca, tanti ritagli di giornali e tante, tantissime foto, che ritraggono la storia del Grande Torino che corre parallela a quella dei fratelli Ballarin.
C'è la foto del trombettiere granata che suonava la carica e dava il segnale per il quarto d'ora granata, quando Valentino Mazzola, il capitano, si arrotolava le maniche e conduceva i suoi all'attacco. Già, Valentino Mazzola, che aveva la febbre e avrebbe potuto non salire su quel maledetto aereo. Ma Mazzola aveva fatto una promessa, al suo amico Francisco Ferreira, capitano del Portogallo. «Se non perdiamo a Milano contro l'Inter veniamo a onorare il tuo addio al calcio». Finì 0-0, Mazzola e suoi compagni salirono sul Fiat G.212 della Ali, direzione Lisbona. In mostra, tra le bacheche del museo c'è il biglietto di quell'ultima partita, onorata dal Toro, dopo le fatiche di San Siro di due giorni prima, che perse 4-3. E su quell'aereo non doveva esserci nemmeno Dino, volato in Portogallo come secondo portiere grazie alle insistenze del fratello Aldo con il presidente Novo. Alle 17.05 di un 4 maggio 1949 travestito da inverno, l'aereo si schianta contro il terrapieno della Basilica di Superga, riprodotta fedelmente in scala e in bella mostra al museo. In quel momento il Toro diventa leggenda, come i fratelli Aldo e Dino Ballarin. —
DANIELE ZENNARO
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