Giorgia trova lavoro 19 giorni dopo la laurea: «La mia missione nel reparto Covid di Dolo»

Vendiduenne neo infermiera di Campagna Lupia discute la tesi on line il 27 ottobre e il 13 novembre firmato il contratto con l’Usl 3  

CAMPAGNA LUPIA. Tra loro c’è anche Giorgia Boschetti. Ventiduenne di Campagna Lupia, è una delle 106 neo infermiere veneziane chiamate in corsia per far fronte all’emergenza Covid.

«Mi sono laureata a Padova, online, il 27 ottobre scorso. Sei giorni dopo ho inviato una mail all’Usl 3 per dare la mia disponibilità. Sono stata chiamata due giorni dopo. Il 13 novembre ho firmato il contratto, mi sono state consegnate le chiavi del mio armadietto e il 16 ho iniziato a lavorare».
 

Esattamente 19 giorni dopo la laurea. Un posto nel reparto Covid di Geriatria a Dolo. Con un un “battesimo del fuoco” in piena pandemia. «Se avessi potuto scegliere tra un reparto Covid e uno non Covid, avrei scelto il secondo. Però sono felice di dare il mio modesto contributo, nei limiti delle mie possibilità e delle mia capacità, nella lotta alla pandemia. Provo tanta felicità, ma non nascondo la paura. Essere buttati nella mischia è impegnativo. Ora sento una grossa responsabilità. So che, se sbaglierò, la colpa sarà mia e non ci sarà nessuno a coprirmi le spalle».

Anche per questo l’Ordine degli infermieri, con la sua presidente veneziana Marina Bottacin, chiede che questi ragazzi «non siano esposti eccessivamente a responsabilità che non sono in grado di sostenere da soli». E continua: «Puntare sul loro entusiasmo e sul senso di attaccamento alla professione, potrebbe rivelarsi poco vantaggioso».

Un “senso di attaccamento alla professione” che traspare dalle parole di Giorgia. «Ho sempre avuto la vocazione di aiutare gli altri», racconta. «Mio nonno è molto anziano e mi ha fatto da “cavia”. Mi piace trascorrere del tempo con lui, aiutarlo, lavarlo. Quando mi sono iscritta a Infermieristica gli ho detto che non vedevo l’ora di laurearmi, per essere un vero sostegno. In realtà, dopo il diploma, la mia prima scelta sarebbe stata Fisioterapia. Però sono contenta di essere entrata a Infermieristica, perché il rapporto con i pazienti è molto più diretto, più vero».

Anche se la pandemia rende tutto più difficile. «Con una doppia mascherina – la Ffp2 e la chirurgica – e la visiera, anche solo scambiare una parola diventa difficile. Poi abbiamo gli occhiali, la tuta chiusa fino al collo, i calzari e tre paia di guanti. Sembriamo degli astronauti».

Il reparto Covid di Geriatria è diverso da quello che immagineremmo. Ci sono pazienti anziani e pluripatologici, ma anche altri relativamente giovani; c’è chi, ricoverato, ha il papà, la moglie in Terapia intensiva. E allora il dolore toglie il fiato e lo spazio a qualsiasi parola.

«È pesante ed è difficile. Nel reparto siamo in otto neo laureati. Capisco che i colleghi con più esperienza vorrebbero starci dietro, darci una mano, ma è una situazione così complessa che manca il tempo». Senza contare che molte assunzioni “a tempo” sono state rese necessarie dal numero consistente di operatori costretti a casa, perché positivi, o comunque in isolamento fiduciario. Coni turni che, per questo, sono stati gestiti spesso da un infermiere esperto, un neo assunto e un neolaureato.

Il contratto di Giorgia scadrà il 31 dicembre. «Poi non so cosa succederà. Immagino che ci sarà ancora bisogno di noi, ma non ho alcuna certezza. Vivere così è impegnativo. A casa siamo in cinque e sono tutti preoccupati. Ogni volta che rientro, avverto la paura; così come ho avvertito il sollievo quando è arrivato l’esito negativo del mio primo tampone. Poi però torno in ospedale e ricomincia tutto da capo. Io sto bene, anche se devo fare attenzione perché questo virus è subdolo. D’altronde, io ho scelto di diventare infermiera per aiutare gli altri. Avevo ricevuto un’offerta anche da una casa di riposo e ho rifiutato, perché il mio futuro è in corsia». —



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