Ergastolano al call center la città divisa su Occhipinti

L’avvocato sul killer della Uno bianca: «Riabilitazione con il vaglio del Tribunale  di sorveglianza». Cgil: «Il suo è un recupero ma capiamo i parenti delle vittime»
Marino Occhipinti, l'ex poliziotto della mobile di Bologna condannato all'ergastolo per gli omicidi della banda della Uno bianca, fotografato nel padovano oggi 2 aprile 2010.Occhipinti ha usufruito oggi di un permesso di uscita dal carcere di Padova per partecipare ad una Via crucis. La manifestazione è stata organizzata da Comunione e liberazione a Sarmeola di Rubano (Padova)nella sede dell'Opera della provvidenza di Sant'Antonio. BOLZONI/ANSA/IAN
Marino Occhipinti, l'ex poliziotto della mobile di Bologna condannato all'ergastolo per gli omicidi della banda della Uno bianca, fotografato nel padovano oggi 2 aprile 2010.Occhipinti ha usufruito oggi di un permesso di uscita dal carcere di Padova per partecipare ad una Via crucis. La manifestazione è stata organizzata da Comunione e liberazione a Sarmeola di Rubano (Padova)nella sede dell'Opera della provvidenza di Sant'Antonio. BOLZONI/ANSA/IAN
«Se prevalesse la corretta conoscenza dei fatti e l’equilibrio dei commenti, i cittadini italiani potrebbero dormire sonni più tranquilli: la legge Gozzini non è fatta per proteggere i “lupi” e per metterli nelle condizioni di replicare i loro delitti, e la Magistratura di Sorveglianza, come è giusto che sia, decide se accordare o no i benefici da essa previsti caso per caso, con grande rigore e senso di responsabilità». Queste parole le ha scritte nel 2006 Marino Occhipinti per “Ristretti orizzonti”, la rivista dei detenuti del carcere di Padova, parlando delle polemiche sui permessi per il serial killer Donato Bilancia. Ora nel mirino delle polemiche per il suo lavoro all’ospedale dell’Angelo di Mestre, in regime di semilibertà dal 2012, c’è proprio Occhipinti che da una quindicina d’anni lavora alla cooperativa Giotto. La Giotto ha vinto l’appalto per la gestione del Centro unico prenotazioni dell’ospedale ma la capofila dell’appalto è la “Cento orizzonti”.


Occhipinti, ex poliziotto condannato all’ergastolo per gli omicidi della banda della “Uno bianca” che seminò sangue e orrore tra Emilia e Marche, coordina un gruppo di lavoratori del call center telefonico. La maggior parte sono disabili.


La vicenda è stata sollevata da una protesta ufficiale di Luigi Corò del comitato “Marco Polo” che ha criticato la scelta di far lavorare un detenuto in un posto «ambito da tantissimi giovani rispettosi delle leggi». E la vicenda, come sempre, divide.


L’avvocato Andrea Franco prende posizione su Facebook: «Occhipinti ha svolto tale mansione in precedenza con ottimi risultati ed il suo percorso riabilitativo non può in alcun modo essere messo in discussione visto che ha ottenuto il vaglio del Tribunale di sorveglianza noto per la sua severità. Mi chiedo quale dovrebbe essere un lavoro adatto per chi sia stato condannato ma abbia requisiti e capacità per poter svolgere tali mansioni. Una notizia per il signor Luigi Corò: i lavori forzati non si usano più». In ospedale, dove ieri mattina Occhipinti non è stato visto, i più tacciono. L’Usl 3 Serenissima ha chiarito che dentro l’Ati che gestisce il Cup «il signor Occhipinti non ha ruolo di referente». Monica Zambon della Filcams Cgil interpreta lo stato d’animo dei colleghi di lavoro: «Con Occhipinti c’era stato un confronto sindacale per alcuni rimproveri a colleghi, poi chiariti subito, senza vertenze. Solo recentemente è emersa la sua storia personale. Ho parlato con i delegati del Cup: si parla di un loro collega, un uomo che ha in corso un percorso di riabilitazione, ma tutti sanno che ci sono di mezzo anche famiglie con profonde ferite ancora aperte. Non spetta a noi giudicare ma ai giudici». Giampaolo Lavezzo, storica voce del mondo delle coop sociali, avverte: «Le coop sociali di tipo B che gestiscono servizi pubblici devono avere il 30% di lavoratori svantaggiati e tra questi ci sono i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione. Pubblicarne i nomi vanifica lo sforzo collettivo, dato che i contributi sociali sono a carico dello Stato».


Mitia Chiarin


©RIPRODUZIONE RISERVATA


Riproduzione riservata © La Nuova Venezia