Enrico, storia di un sopravvissuto a Dachau

Vanzini ha presentato a Forte Marghera il libro “L’ultimo sonderkommando italiano”

«Portavo una divisa. Quella italiana da artigliere. Un giorno l’hanno buttata per terra, messo addosso un pigiama a righe, un berretto e due zoccoli di legno. Ero arrivato a Dachau». Inizia così il lungo racconto di Enrico Vanzini, "L'ultimo sonderkommando italiano" come recita il titolo del suo libro curato da Roberto Brumat, giornalista e regista del documentario che narra le sue vicende presentato nei giorni scorsi a Forte Marghera. Classe ‘22, prigioniero dopo l’8 settembre e deportato. “Sonderkommando”, i detenuti che seguivano i forni crematori. Enrico Vanzini nasce Fagnano Olone (VA), quinta elementare e falegname. Il padre antifascista, ma a 18 anni arriva la chiamata. Un’appendicite gli impedisce di partire per la campagna di Russia. Guarisce e, artigliere motorizzato, va ad Atene. La vita in Grecia è tranquilla; i partigiani sono nell’entroterra, nella capitale solo ordinaria amministrazione. Enrico non spara un colpo. Poi l’8 settembre. Da alleato a nemico. La delazione di una milanese fa arrivare i tedeschi; resa o morte. Dei suoi amici Enrico non saprà più nulla. 60 anni per raccontare una storia che forse voleva dimenticare.

«In un giorno tutto è cambiato – racconta – non ero un soldato o un uomo, ma il numero 123343». Forza e fortuna nei 7 mesi all’inferno, aggrappato alla forza di volontà e alla speranza di un momento migliore. «Catturato sono finito su un treno merci; destinazione Monaco. La sete come maledizione ma avrei subito di peggio. Ero un soldato, pensavo di essere trattato come tale. Mi sbagliavo. Sapevamo da voci dei campi ma poi ho varcato il cancello di Dachau e ho capito. Reti elettrificate, torrette con mitragliatrici, cadaveri, botte. Ero alla fine del mio viaggio». A salvarlo la costituzione. Pesava 86 kg, quando uscì dal cancello 30. «A me è toccato il “sonderkommando”. Ero in coppia con un altro prigioniero. Un giorno lo intravidi benedire i cadaveri. Mi spiegò che ebrei, cattolici, comunisti, tutti meritavano una preghiera. Da quel giorno, di nascosto, iniziai anche io». Nel viaggio verso Dachau anche una fuga fallita. La fucilazione evitata grazie a un comandante che lo fa passare come esperto in costruzione armi. 130 persone in una capanna, fame, sete, malattie, combattendo per non lanciarsi contro la rete elettrica. Ora Enrico parla ai ragazzi. «Pensate allo studio e agli affetti, perché la guerra non fa vincitori. Tornassi indietro mi sparerei per non partire». Il 29 gennaio Napolitano gli ha consegnato la medaglia d'onore.

Gian Nicola PIttalis

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