Droga nelle casse di frutta confermata la maxi condanna

Carlo Mion / MARCON
Droga della ’ndrangheta dal Sud America al Veneto, in appello accolto l’impianto accusatorio che aveva portato, in primo grado, a condanne per circa 170 anni ai 17 imputati dell’inchiesta “Picciotteria 2”. Componenti di un’organizzazione, con base a Marcon, legata alle cosche di Africo e che facevano arrivare quintali di cocaina dal Sud America, nascosti nella frutta e tra le casse di pesce, scaricate nei porti di Livorno e Venezia. In appello confermato il lavoro investigativo della Procura Antimafia di Venezia e della Guardia di Finanza, anche se per tutti è caduta l’aggravante della transnazionalità dei reati commessi e sono arrivati sconti di pena e assoluzioni.
La Corte presieduta da Francesco Giuliano, a latere Luisa Napolitano e Alberta Beccaro, ha accolto la gran parte delle richieste fatte dal Pg De Lorenzo. Queste le condanne emesse dopo oltre nove ore di camera di consiglio. Tra parentesi quelle del primo grado, quando i vari imputati scelsero il rito abbreviato che garantisce lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna.
Vittorio Violi, 19 anni e 4 mesi (20 anni); Giovanni Pietro Sculli, 7 anni e 10 mesi (10 anni e 2 mesi); Rocco Scordo, assolto (5 anni e 4 mesi); Antonio Catalano, 8 anni e 10 mesi (12 anni e 4 mesi); Constantin Dascalu, confermata la condanna di primo grado (1 anno e sei mesi); Mariana Dascalu, 8 anni e 2 mesi (10 anni e 5 mesi); Guido Di Francesco, 9 mesi e 10 giorni (2 anni); Antonio Femia, confermata la condanna di primo grado (10 mesi); Nicodemo Fuda, 8 anni e 8 mesi (10 anni e 6 mesi); Franco Monteleone, 8 anni e 10 mesi (11 anni e 6 mesi); Santo Morabito, 17 anni (20 anni e 8 mesi); Leo Palamara, assolto (5 anni e dieci mesi); Mario Palamara, 10 anni (14 anni); Antonino Vadalà, 7 anni e 1 mese (9 anni e 4 mesi); Pasquale Vadalà, assolto, (5 anni e 10 mesi); Pasquale Virgara, 10 anni e 1 mese (12 anni e 8 mesi); Leo Zappia, 8 anni (17 anni e 9 mesi).
Il traffico per cui sono stati condannati è avvenuto tra il 2013 e il 2015. Si trattava di un’organizzazione in grado di sostenere alla pari il confronto con i “cartelli” colombiani, e che dal Sudamerica faceva arrivare la cocaina destinata alle piazze del Veneto e della Lombardia attraverso casse di frutta e mazzancolle. Le indagini della Guardia di Finanza avevano permesso di ricostruire il traffico di cocaina, pura al 99 per cento, che arrivava dal Sudamerica: ben 600 chili di stupefacente solo tra i mesi di giugno e dicembre 2015 capaci di fruttare, se fosse stata piazzata sul mercato, qualcosa come 60 milioni di euro.
I capi del gruppo sono ritenuti Attilio Vittorio Violi e Santo Morabito, «santisti» delle «locali» (cioè le cosche calabresi) di Ferruzzano e Africo. Cosche che puntavano anche a reinvestire i proventi dello spaccio, che veniva gestito nell’ordine di grandezza dei quintali, a Venezia in attività commerciali e in altre località turistiche.
Secondo quanto ricostruito dall’accusa, quando Violi era finito in cella nella prima tranche di arresti nel 2015, sul campo lo scettro era passato al cognato Giovanni Pietro Sculli e in subordine al cugino Rocco Scordo. Quest’ultimo, però, secondo i giudici di secondo grado non ha commesso alcun reato. —
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