Droga a Mestre, don Bonazza: «Non è un problema della città, basta stigma. Serve una risposta regionale»
Dopo la maxi operazione con 50 chili di droga sequestrati, il parroco di viale San Marco interviene: «Mestre è al centro di flussi che arrivano da tutta Europa. Il rischio è l’assuefazione e la giustizia fai da te. Serve prevenzione, non solo repressione»

«Mestre al centro dei fiumi di droga che transitano dall'Europa non è un problema della città, è una partita più grande che va affrontata a livello ampio. Se siamo la centrale di acquisto del Veneto e del Nordest, non è giusto che Mestre abbia appiccicato addosso questo stigma che la marginalizza». Don Natalino Bonazza, parroco di viale San Marco e già vicario foraneo, interviene sulla maxi operazione che ha portato all’arresto di quattro narcotrafficanti e al sequestro di 50 chili tra cocaina e anfetamine.
«Siamo di fronte a una piaga che abbraccia indistintamente ogni fascia di età e status, un crocevia al centro del quale c’è Mestre». Don Bonazza inanella gli ultimi episodi eclatanti, legati alla movimentazione di droga: la ventenne che ha preso la barca e si è schiantata a Rialto, in stato di alterazione. Il commercialista che ha investito due tossicodipendenti in zona Piave. Lo stesso parroco due estati fa aveva filmato una cessione di stupefacente, sentendosi dire che aveva messo in pericolo la sua vita. Il sacerdote cita i pusher in monopattino che dalla stazione si allungano in viale San Marco per evadere le richieste che arrivano dai bar dove si smercia. Un tassello di un disegno più ampio.

«Da un lato gli spacciatori, dall’altra le persone accasciate a terra, che vivono in un mondo parallelo. Tutti sanno dove si spaccia e si cede, conoscono i movimenti strani, anche nel mio quartiere». Qual è il pericolo? «Che la gente abbia reazioni esasperate, si faccia giustizia da sola. Ma il problema è a monte e questa operazione lo ha dimostrato».
Rispetto al blitz di dieci anni fa cosa è cambiato? «Non saprei dirlo, ma è una realtà più grande di noi e non è giusto che Mestre subisca uno stigma che le ricade sulle spalle e causa un danno sociale a cascata: case che non valgono più niente, maglie nere nelle statistiche nazionali: è scorretto che questo mercato finisca per dominare il territorio e credo che Mestre si porti ingiustamente addosso questa nomea. Parliamo tanto del fatto che Venezia si svuota e si riempie di turisti, ma quale mobilità della tossicodipendenza c’è a Mestre? Pensiamo al flusso di gente alla ricerca di stupefacente. Serve una lettura più completa del territorio, a partire dal fatto che il problema non è di Mestre, è metropolitano e regionale, e deve essere risolto da tutti».
Ripete: «Mestre è schiacciata da un flusso di droga che viene da lontano e di cui subisce gli effetti collaterali, ma ciò non deve trasformarsi in uno stigma sociale che marginalizza parte della città, se non tutta». Timori? «Che ci sia una sorta di assuefazione che si nutre di benaltrismo. Il problema non è solo di Mestre, perché poi chi arriva da Cortina o da Vicenza in treno dopo aver comperato bene, se ne torna a casa. Ci deve essere una corresponsabilità politica ampia, altrimenti vincono omertà e paura, e piano piano regrediamo. Non ho soluzioni, ma è necessario capire che questa partita travalica i nostri confini e tutti siamo coinvolti».
Infine: «Mi preoccupa il fatto che non si parli più di prevenzione ma solo di contenimento, spostare il problema non lo risolve: serve una presa di coscienza collettiva, altrimenti si mettono solo cerotti. Non basta nemmeno inasprire le pene. La prevenzione va rimessa al centro. Siamo tutti a rischio distrazione e dire che è un fenomeno endemico, non è una scusa. Chi tace è complice, perché in questa partita, i soldi si fanno sulla pelle dei più deboli». —
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