Donna morta dopo l’intervento Assolti i due medici di Dolo

DOLO. I medici padovani Rolando Tasinato e Mario Godina, in servizio all’ospedale di Dolo, sono stati assolti con formula piena perché «il fatto non sussiste» dal giudice del Tribunale monocratico...

DOLO. I medici padovani Rolando Tasinato e Mario Godina, in servizio all’ospedale di Dolo, sono stati assolti con formula piena perché «il fatto non sussiste» dal giudice del Tribunale monocratico Nicoletta Stefanutti dall’accusa di omicidio colposo. I due sanitari erano accusati dal pubblico ministero Lucia D’Alessandro della morte di Caterina Ruffato, allora 37enne, deceduta il 2 ottobre del 2005 nel reparto di Chirurgia dell’ospedale di Dolo per una tromboembolia polmonare bilaterale massiva «a causa della negligenza, imperizia e violazione delle norme di diligenza professionale», dice il capo d’accusa, dei due medici che avevano operato la donna con l’amputazione di un arto a seguito di un’ infezione.

La requisitoria del pubblico ministero, che chiedeva la condanna a sei mesi ciascuno per i due medici, è stata smontata in pieno dagli avvocati Barbara Bisinella e Michele Godina del foro di Padova e dall’avvocato Giuseppe Sarti del foro di Venezia.

L’accusa infatti si basava principalmente sul parere del medico legale del pm, Antonello Cirnelli, il quale aveva evidenziato che l’inserimento di un «filtro cavale» avrebbe potuto evitare la trombosi e salvare la vita della Ruffato deceduta venti giorni dopo l’intervento ma già affetta da enormi problemi di obesità e da una neoplasia «in sede para sovra uterina in stadiazione avanzata e una conclamata insufficienza renale».

I consulenti tecnici del Tribunale nel prosieguo del processo hanno evidenziato come non ci fosse nessuna certezza di salvare la donna con l’apposizione del «filtro cavale» ma anzi si sarebbero creati altri concreti e immediati rischi di morte per la paziente. I due medici padovani, come indicato dagli avvocati della difesa, hanno agito in piena emergenza e in maniera corretta con un arco temporale che non lasciava spazio a indecisioni. Si trattava di intervenire in tempo per salvare la vita della donna. Sarebbero bastate solo otto ore in più, cioè quelle per l’eventuale inserimento del «filtro cavale» con il trasporto della donna dall’ospedale di Dolo a quello di Mirano, attrezzato per l’intervento, per riportarla in ospedale priva di vita.

La tesi accusatoria smontata passo passo ha convinto il fratello della vittima, Ernesto Ruffato, costituitosi parte civile con l’avvocato Stefano Marrone di Dolo, a revocare pochi giorni prima della sentenza la costituzione, come avevano già fatto precedentemente la mamma e il marito della Ruffato, e ad accettare la transazione extragiudiziale della compagnia assicurativa dei due sanitari.

La Stefanutti si è riservata novanta giorni per depositare la sentenza.

Davide Massaro

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