Don Giorgio tra i profughi del Kurdistan

CAORLE. In pellegrinaggio verso l’Iraq per aiutare le comunità cristiane minacciate dall’Isis: «Profughi cristiani e yazidi costretti alla fuga. Hanno perso tutto tranne la loro fede e ora sperano nella visita di Papa Francesco». È tornato da pochi giorno al suo monastero a Marango di Caorle don Giorgio Scatto dopo essere stato per una settimana testimone oculare di quanto sta succedendo a Erbil, capitale curda dove oltre 2 milioni di profughi hanno trovato rifugio e ora vivono in campi allestiti con tende, in caravan su pezzi di terra nella periferia delle città o in edifici in costruzione.
Non solo cristiani ma musulmani sunniti e sciiti, yazidi che hanno perso tutto a partire dalla propria casa. Una testimonianza fatta di parole scritte su un diario di viaggio e tante fotografie che raccontano in modo agghiacciante quello che sta accadendo in Medio Oriente. La situazione, cioè il sostentamento di questi profughi dove i bambini sono quasi il doppio degli adulti, è garantita quasi totalmente dalla Chiesa, dallo stesso Papa che, racconta don Giorgio «loro chiamano padre Francesco e con il quale hanno avuto contatti telefonici anche a Natale e speriamo che ciò avvenga anche per Pasqua» oltre che da associazioni di volontariato e onlus mondiali, che si occupano di trovar loro una sistemazione, garantiscono la presenza di scuole e luoghi di culto e danno loro da mangiare.
«Noi siamo riusciti a raccogliere e donare quasi 20 mila euro» racconta don Giorgio. «Non hanno più nulla e nonostante ciò l’ospitalità è sacra. Il Kurdistan iracheno è l’unico posto dove sono riusciti a trovare rifugio dopo la fuga forzata dall’Isis ma di certo non sono stati accolti a braccia aperte e molti approfittano della situazione aumentando fino a mille e 500 dollari l’affitto per appartamenti di pochi metri quadrati dove vivono anche 2 o 3 famiglie».
«I rifugiati», racconta ancora don Giorgio, «li hanno confinati in una zona ben delimitata della città e nessuno interagisce con loro. Molti bambini locali, addirittura, li attaccano per gioco ma con fionde e sassi».
Vite che si svolgono in piccole stanze, senza futuro e con l’unica speranza di poter tornare a casa e nei luoghi che lo scorso 6 agosto hanno dovuto abbandonato nella notte.
«Ci hanno raccontato le loro esperienze» conclude don Giorgio, «molti dei loro amici e parenti sono morti brutalmente ma nonostante ciò non hanno odio nei confronti dei loro carnefici che si sono presi tutto anche i valori umani, e continuano ad avere fede in Cristo».
Gemma Canzoneri
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