Documenti falsi per smaltire i rifiuti e per le aziende era tutto in regola

Il reale percorso dell’immondizia fino al capannone di Fossalta smascherato grazie alla localizzazione dei telefoni degli autisti
DE POLO - DINO TOMMASELLA - FOSSALTA DI PIAVE - IL CAPANNONE SEQUESTATO IN VIA DEELLE INDUSTRIE 16
DE POLO - DINO TOMMASELLA - FOSSALTA DI PIAVE - IL CAPANNONE SEQUESTATO IN VIA DEELLE INDUSTRIE 16



Carte false per smaltire i rifiuti in barba alle aziende che credevano di fare tutto in regola. Si scopre anche questo leggendo l’ordinanza con cui la Direzione distrettuale antimafia di Milano ha sgominato una organizzazione dedita al traffico della spazzatura che aveva allungato i propri tentacoli anche in Veneto: 8 le persone in carcere, 4 ai domiciliari tra cui Diego Giro, 49 anni di Caorle, e Giovanni Girotto, 67 anni di Roncade. Obbligo di dimora per Bekim Ramadonovski, macedone di San Stino. A Fossalta di Piave, in via delle Industrie 16, c’era uno dei capannoni dove venivano stoccati illegalmente i rifiuti. Dal Trevigiano e dal Padovano, invece, proveniva parte del materiale. Che la Bigaran, azienda di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti con sedi a San Biagio di Callata (Treviso) e Megliadino San Vitale (Padova) - del tutto ignara rispetto all’attività dell’organizzazione - conferiva alla I.P.B. Italia, il cui titolare Aldo Bosina per gli inquirenti era al vertice del sodalizio.

A presentare Bigaran a Bosina era stato Diego Giro, con vari precedenti alle spalle, che aveva procurato anche il sito di Fossalta di Piave. Era lui il procacciatore di clienti in Veneto. Secondo l’accordo stipulato, Bigaran doveva pagare 160 euro a tonnellata per conferire i rifiuti provenienti dall’impianto di San Biagio, 158 euro per quelli di Megliadino San Vitale. Da giugno a ottobre 2018, hanno accertato i carabinieri del Noe, sono stati effettuati 98 trasporti dagli impianti della Bigaran verso la I.P.B. Italia per un totale di 2.500 tonnellate. Ma l’attività investigativa ha permesso di rivelare che l’organizzazione aveva falsificato i Fir, ovvero i formulari di identificazione dei rifiuti, documenti di accompagnamento necessari per movimentare la spazzatura: la Bigaran è indicata non come la ditta che conferisce i rifiuti a I.P.B. Italia, ma come destinataria dei materiali in uscita dal sito di via Chiasserini a Milano, sede della stessa I.P.B., andato a fuoco la sera del 14 ottobre 2018.

«Le indagini tecniche, ovvero l’analisi dei tabulati telefonici e la localizzazione delle utenze telefoniche in uso agli autisti di I.P.B. Italia», si legge nell’ordinanza, «hanno dimostrato che quei Fir sono falsificati perché i rifiuti sono stati trasportati in quelle date non presso la Bigaran, ma nel capannone di Fossalta di Piave». E ancora che «Si è accertato che gli autisti in alcune occasioni hanno caricato quei rifiuti presso gli stabilimenti del cliente Bigaran e, invece di trasportarli a Milano, li hanno portati e scaricati a Fossalta, nel sito procurato da Diego Giro» che viene definito «il referente in Veneto di Aldo Bosina nell’attività di smaltimento illecito di rifiuti». Nessuna voglia di commentare l’accaduto da parte della Bigaran.

il silenzio da pagare

Il 16 novembre 2018 i carabinieri del Noe di Venezia, su delega dei colleghi milanesi, effettuano un sopralluogo nel capannone di Fossalta. I consulenti del pm accertano che dentro ci sono 11mila metri cubi di rifiuti urbani e industriali stoccati. Attraverso le chat di WhatsApp, gli investigatori scoprono che Giovanni Girotto, prima amministratore e poi liquidatore della Proveco Italia, proprietaria del capannone di Fossalta, riceve 5mila euro dal capo Bosina «per comprare il suo silenzio e far sì che lo stesso non fornisse alla polizia giudiziaria informazioni sul traffico di rifiuti in corso». «Ricordati anche di me», scrive Giro a Bosina. Anche lui, insomma, voleva la ricompensa.

Del ruolo partecipe di Girotto e Giro nel sodalizio ne sono convinti gli inquirenti. C’è una intercettazione in cui Bosina rassicura Giro del fatto che il controllo a Fossalta non ha nulla a che vedere con le indagini sul capannone di Milano: «Da qui tutto è negativo, è una cosa nata lì al 100 per 100». E a Girotto raccomanda di dare meno informazioni possibili agli investigatori, in modo che la vicenda non abbia ulteriori sviluppi: «Se riesce a dare meno dati possibili, lì muore». —



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